17. Bus

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"Ho sempre pensato agli autobus, quelle grosse auto gialle con tanti posti, come a delle macchine infernali pronte ad ucciderti alla prima curva sbagliata. Solo ora mi rendo conto che in realtà erano tante, troppe possibilità."

Osservo sconvolta il groviglio di capelli biondi che sta seduto davanti a me, incredula. Non posso credere che lui sia qui, sul mio stesso bus, in questo preciso istante: ogni cosa, ogni circostanza non fa che portarmi a credere che lui sia stato creato per rendermi la vita impossibile, per complicarmi le cose, per impedirmi di vivere come vorrei. E lo dimostra il fatto che io ora sto scappando lontano dai miei problemi e nonostante l'impegno, abbia comunque quel pazzo fra i piedi. Il conducente chiude all'improvviso le porte del mezzo, segno che stiamo per partire e che ora non posso più tornare indietro: sono chiusa su questo vecchio autobus sgangherato, con la persona che più mi spaventa al mondo. Prendo un respiro profondo e conto le volte in cui l'autista preme sull'acceleratore prima di partire: sette volte. Sette volte in cui da gas, senza però muovere il mezzo, sette volte in cui spero che il suo piede sia ben premuto sulla frizione e che non finiremo contro l'albero che sta un paio di metri davanti a noi.  Tanta speranza e tanta paura.

Iniziamo a muoverci lenti fra i palazzi e le vie strette, col sole che lento ci insegue, pigro, come se non gli interessasse per nulla seguirci in questa strana fuga senza senso. Come se pure lui pensasse che io stia facendo un'enorme cazzata. Tremo appena, stretta nella mia felpa ed appoggiata in malo modo contro il finestrino, osservando ciò che mi passa davanti: un paio di case, qualche vecchio albero, un paio di ragazzi sullo skateboard, due signori coi rispettivi cani, una madre con la figlioletta.  Cerco disperatamente di attaccarmi a ciò che vedo, spero che qualcosa mi riporti a qualche strano ricordo, in modo da distrarmi dalle mie vere preoccupazioni: avrò rubato abbastanza Valium ? I farmacisti si accorgeranno delle ricette falsificate che ho con me? Quanto ci metteranno i miei a trovarmi? Sto facendo la cosa giusta, vero? Ma soprattutto, perchè Xav non si è ancora avvicinato? Perchè mi sta ignorando così palesemente? Allungo una mano verso il mio zaino, cercando disperatamente qualcosa che possa calmarmi, qualcosa che non mi faccia avere un attacco di panico ora, alla periferia di Londra, su un cazzo di vecchio autobus sgangherato. Trovo uno dei barattoli "Speciali" e lo apro, tirando fuori una pillola e mettendola velocemente in bocca. Mia madre da un paio di mesi a questa parte aveva iniziato a prendere delle strane precauzioni: nascondeva per la casa barattoli di Valium o di Xiprexa, in luoghi dove solo lei sarebbe andata a cercare, in modo che se avessi avuto un qualche strano attacco la somministrazione sarebbe stata molto più rapida e sbrigativa. La poveretta però non ha mai capito che i miei attacchi erano la maggior parte delle volte "indotti", così da poter capire dove nascondesse le pastiglie. Ora ho nello zaino tante medicine da bastarmi per parecchie settimane, quasi mesi se non aumento le dosi. Spero davvero di non dover aumentare le dosi. Nascondo la scatolina sotto il mio pc e chiudo di nuovo lo zaino, tornando nella scomoda posizione di prima, assaporando il magico momento in cui il Valium farà effetto.

L'autobus frena bruscamente, destandomi dal sonno farmacologico in cui ero caduta, e facendomi picchiare la testa contro il sedile davanti a me. Porto entrambi le mani verso la fronte, trattenendo le lacrime e sperando di non aver peggiorato la situazione in cui si trova la mia faccia. Non che sia possibile star peggio di così. Cerco di sfiorarmi la pelle ma il solo tatto mi provoca un dolore sordo, così rinuncio e cerco di calmarmi facendo dei lunghi respiri profondi. Mi guardo in giro cercando di capire dove mi trovo, senza alcun risultato: fuori è diventato buio e le uniche cose facilmente distinguibili sono i profili dei lampioni. Sposto lo sguardo all'interno del bus ma non vedo nessuno attorno a me. Sono scesi tutti, sono sola. Mi alzo lentamente, cercando di raggiungere l'autista per chiedergli quanto manca per arrivare a Brighton. Il mezzo sbanda di continuo e restare in equilibrio risulta sempre più difficile. Raggiungo il posto in cui prima stava seduto Xavier, ma di lui nessuna traccia. Forse non era lui, forse la signora si era solo confusa e non ero io la persona che cercava. O forse mi sono solo immaginata tutto. Arrivo annaspando davanti al posto dell'autista e busso piano verso la porticina di vetro che mi separa da lui, senza però ricevere una risposta. Busso ancora, ma nulla. Allungo tremante una mano verso la maniglia, quando l'autobus sbanda ancora e mi ritrovo sdraiata in mezzo al corridoio, con le orecchie che fischiano. Mi rimetto in piedi e vado decisa verso l'autista, aprendo di scatto la porta-finestra. Osservo il sedile di pelle marrone, leggermente consunto ai lati e macchiato su tutta la lunghezza dello schienale, cercando di capire cosa non vada. Al posto del conducente non c'è nessuno. L'autobus però prosegue la sua corsa, sbandando leggermente ed aumentando di velocità. Il panico prende possesso di me e quando l'albero si avvicina ed il parabrezza va in mille pezzi mi metto ad urlare.

Sto ancora gridando quando un paio di mani mi prendono per le spalle e mi scuotono animatamente. Apro gli occhi di scatto, cercando di mettere a fuoco quello che mi circonda: un paio di ragazze mi fissano con lo sguardo allarmato, un signore mi guarda confuso e la signora anziana che prima cercava di parlare con me stringe al petto un rosario e trema appena. Il conducente continua ad urlare qualcosa ma le orecchie mi fischiano e non riesco a capire con chi stia parlando, fino a quando qualcuno non mi aiuta ad alzarmi. Xavier è accanto a me e sta dicendo all'autista che non serve che si fermi, che sto bene. Ma lo sa pure lui che non è così. "Sei proprio un conta palle." dico sussurrando. Lui scoppia a ridere, come se avessi appena raccontato la barzelletta del secolo: "Scusa? Non si usa più dire grazie?" chiede. "Lo sai anche tu che non sto bene. E grazie per cosa? Per aver mandato una povera ottantenne a vedere se sono in grado di prendere un bus da sola?" dico acida. "Non direi che non stai bene, solo che hai una differente visione delle cose." dice "E la vecchia si chiama Mildred. Porta rispetto, mi regala le caramelle al miele tutti i giovedì." dice facendo spallucce. Mi fa risedere al mio posto, mentre lui si accomoda in quello davanti al mio. "Mi sa che ho avuto un'attacco. Strano, pensavo che il Valium durasse di più." sussurro, più a me stessa che a lui. "Dove siamo?" "Quasi a Brighton." dice lui osservando fuori dal finestrino, improvvisamente malinconico. "Che hai?" chiedo, curiosa del suo improvviso cambio d'umore. "Perchè sei qui? Quando ti ho vista pensavo che le allucinazioni fossero tornate. Mi è quasi venuto un colpo. Per quello ho mandato Mildred a parlare con te. Perchè  diamine sei qui?"  chiede ancora. Prendo un lungo respiro e lo guardo negli occhi. "Perchè avevi ragione."

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⏰ Ultimo aggiornamento: Jun 12, 2018 ⏰

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