NIGHTMARE

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Si svegliò di colpo, sudata e con il respiro affannato. Era solo un sogno. Lo stesso che faceva da circa due anni, e che ogni notte la svegliava col magone, rendendole la vita impossibile.

È solo un sogno continuava a ripetersi nella mente, eppure sapeva che presto quel sogno si sarebbe trasformato in realtà. Una realtà che per quanto lo negasse a se stessa, le faceva paura. Tanta. Perché non coinvolgeva solo lei. E quella notte, alle 2 di quella maledetta notte, quella realtà che tanto temeva le piombò addosso, e lei non poteva fare altro che accettarlo e adattarsi. Sopravvivere, come aveva sempre fatto.

Sentì dei rumori provenire dalla cucina, si alzò e senza pensarci estrasse la sua pistola da sotto il cuscino. Ma non fece in tempo a raggiungere la stanza che vide un uomo uscire dalla porta di casa, e lei non poteva sparare, o avrebbe svegliato la sua bambina.

Si chiamava Ariel, aveva quasi 2 anni e la caratterizzava una dolcezza estrema, la stessa che caratterizzava la sua mamma quando era piccola. La sua mamma era Ziva David, ma un papà, quello non ce l'aveva. O meglio, non l'aveva mai conosciuto. Ma stava bene così, Ziva le dava tutto quello che poteva offrirle, ed era una mamma perfetta.

Rimase immobile, paralizzata, ma sapeva che non poteva fare niente per il bene della sua bambina. In realtà era ancora un'agente federale, ed in qualsiasi momento avrebbe potuto richiedere il suo distintivo, questo, però comportava che tornasse a DC, in America. All'NCIS. E questo un po' la spaventava. Da quando se n'era andata molte cose probabilmente erano cambiate, e tutti le avrebbero voltato le spalle, come lei aveva fatto con loro.

Per sua figlia, però, era disposta a tornare indietro sui suoi passi.

"Mamma!"

Ziva era ancora paralizzata davanti alla porta ormai chiusa con la pistola puntata davanti a sé, quando sentì la vocina di sua figlia chiamarla.

Doveva averla svegliata mentre stava andando in cucina, ed ora piangeva e la chiamava.

Corse in camera, era ancora sul lettone posto accanto al suo, e stringeva il suo peluche. Corse ad abbracciarla e cercò di calmarla, e quando si accorse che iniziava a piangere sempre di più, la prese in braccio e la cullò portandola in giro per casa.

"Va tutto bene amore, va tutto bene. Adesso ce ne andiamo, e tutto finirà, te lo prometto!" le ripeteva, mentre la bambina si stringeva sempre di più al suo petto.

Aveva deciso, sarebbe partita quella sera stessa, e avrebbe regalato un po' di pace alla sa bambina. Non sopportava più di vederla così, in pericolo, e indifesa. Sapeva solo che le sarebbe rimasta accanto e l'avrebbe protetta finché avesse avuto vita.

La stese sul lettone una volta che si fu calmata, per iniziare a preparare le valige, ma quelle manine la trattennero, afferrandole il braccio.

"Ariel che succede? Hai fatto un brutto sogno?" chiese sedendosi sul letto e mettendosi la piccola in piedi sulle gambe. La bambina annuì con i lacrimoni.

Ziva la guardò per un attimo. Era estate, e a Tel-Aviv, quella stagione era molto calda, per questo l'aveva lasciata solo con il pannetto. Aveva i capelli lunghi per una bambina della sua età, erano castano-dorati e mossi. Aveva la carnagione olivastra, come la sua e degli occhi verde smeraldo. Ogni volta che li guardava vedeva quelli dell'unico ragazzo che le fece veramente battere il cuore, che l'aveva salvata ogni volta che era in pericolo, e che aveva baciato con tanta passione prima di vederlo salire su un aereo che li aveva separati per sempre.

Eppure non era lui il padre. Aveva preso gli occhi da Rivka, sua madre, infatti erano dello stesso colore di quelli di Tali. Il padre era un uomo che Ziva credeva amico, che credeva le fosse rimasto accanto quando tutto sembrava andare storto ed Eli era morto, che credeva la stesse confortando e le sarebbe rimasto accanto... Ma si sbagliava, perché quell'uomo era Adam Eshel.

My Reason To Go OnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora