TELL ME THE TRUTH

184 6 1
                                    

Era distesa sul freddo pavimento dell'obitorio, vicino al cadavere dell'uomo che aveva appena ucciso. Non si muoveva, aveva la maglia e la parte alta dei pantaloni, impregnati di sangue, sembrava morta ma non lo era. Aveva appena vinto una battaglia, la sua battaglia. Stringeva gli occhi e rivedeva le scene di quanto successo pochi secondi prima. Ducky ferito, il cadavere di Monique, il suo taglio nel ventre e Tony e sua figlia fuori dalla porta dell'obitorio.

Tony aveva chiamato subito Gibbs, che con il resto della squadra era corso giù, per la prima volta dalle scale. Vance arrivò subito dopo, e aprì le porte dell'obitorio. Il capo corse da Ziva, vedendola a terra, mentre ordinava agli altri di portare Ducky in ospedale.
"Ziva..." si inginocchiò affianco e le prese la mano dal ventre.
"Ariel... ho visto Tony e Ariel fuori... Dove sono?" chiese subito allarmata aprendo gli occhi. "Sono sopra, con McGee..."
"E Ducky? Si è preso un proiettile al posto mio..." chiese mettendosi a sedere per terra.
"Sta bene... Bishop e Palmer lo stanno portando in ospedale" la rassicurò, mettendole una mano sul volto e fissandola negli occhi, come a chiedere come stesse.
"Sto bene Gibbs, è solo un taglio!" rispose alla sua implicita domanda alzandosi.
Non aveva osato domandare a chi appartenesse quel cadavere, ma dai tratti somatici, intuiva che doveva avere qualcosa a che fare con Saleem.

Tony l'aveva accompagnata di corsa in ospedale, lasciando la bambina ad Abby. Vederla dipinta di rosso per metà, gli metteva uno strano senso di angoscia, che non capiva a cosa fosse dovuto. Appena arrivati, i medici si resero conto della gravità della situazione, e le misero dei punti urgentemente. Avrebbero preferito svolgere qualche altro controllo, ma Ziva non li lasciò fare. Era preoccupata per Ducky, e doveva sapere come stesse.
Rimase appoggiata al muro del corridoio in attesa di notizie, ma dopo diverse ore in sala operatoria, ancora nessun'infermiera le aveva spiegato nulla.
Aveva gli occhi lucidi, nascosti dai suoi ricci.
"Vedrai che andrà tutto bene..." Provò a consolarla Tony.
"Come fai a dire una cosa simile?" chiese rivelando la sua preoccupazione e le lacrime che le si stavano per formare. Continuava a ripensare a quella frase non lo salverai... Perché le aveva detto una cosa simile sapendo che sarebbe morto in pochi secondi? Non riusciva a spiegarselo, e provò a non pensarci.
"Monique è morta, Ducky è ferito, e..." stava per dire di aver scoperto che la Somalia l'aveva resa una donna diversa dal normale, ma si bloccò. Non voleva che lo sapesse, e tantomeno che qualcuno provasse pena per lei.
"E ho appena scoperto che tu... Che noi..." aggiunse.
Tony le afferrò una mano, capendo subito dove volesse arrivare.
"Ascolta Ziva, non so perché ho avuto quella reazione, non so perché sono corso in bagno, ma Ariel è mia figlia, ed è una bambina strepitosa. Non ho intenzione di abbandonarvi..." le disse in tono rassicurante, avvicinandosi pericolosamente al suo viso, e dando un piccolo bacio sulla sua mano, mentre Ziva lo osservava quasi meravigliata, ma felice delle sue parole.
Tony venne colto da un'emozione improvvisa, e prese a carezzarle il viso dolcemente. Ziva non riuscì ad opporre resistenza. Entrambi si sentivano diversi quando erano l'uno con l'altro, ed una sensazione che non riuscivano a decifrare, li inebriava ogni volta.
"Ziva ti devo parlare..." disse poi tornando in sé "Io e Zoe... Ci sposiamo".
Avrebbe voluto essere felice per lui, per loro, ma non fu così, e ripensò a quello che era appena successo, e alla scena nel bagno sull'aereo. Colta da un impeto di rabbia, non riusciva a parlare.
"Scusami... Adesso sono io ad avere una reazione che non capisco" disse andando verso il bagno e sciacquandosi il volto. Tony rimase fermo lì, si appoggiò al muro e si lasciò cadere a terra.

Quando Ziva tornò nel corridoio, trovò solo le chiavi della Mustang di Tony. Probabilmente era tornato a casa. Rimase ad aspettare Ducky tutta la notte, finché, verso le 2 del mattino, crollò seduta per terra, appoggiata al muro.

Appena tornò dall'ospedale, Tony passò da Abby a prendere la bambina, e tornò a casa.
"Ariel non hai proprio sonno?" chiese ormai arreso all'iperattività della bambina.
"Ma la mamma dov'è?"
"Arriva presto, sirenetta. Te lo prometto. Ma tu ora devi dormire..." la rassicurò "O altrimenti se la prende con tutti e due!" aggiunse facendola ridere.
Vedendo che la piccola non cedeva, la perse in braccio, la portò in cucina e la fece sedere sul tavolo.
Quando erano tornati dal Messico, Tony aveva trovato un biglietto sulla sua scrivania, ma non lo aveva ancora letto. C'era una scritta in ebraico che non riusciva a decifrare, e credeva fosse un'idea di Abby per il bentornata di Ziva... Non capiva però perché l'avesse messo sulla tastiera del suo computer.
"Tu non sai leggere, vero?" tentò.
"No" rispose la bambina ridendo.
"Secondo te che c'è scritto qua?"
"Non lo so" continuò a ridere "Perché non lo apri?"
Tony non si era accorto che effettivamente, quello che aveva fra le mani, non era un post-it, bensì una busta delle lettere molto diversa dal solito.
Prima di aprirla osservò sua figlia. Era proprio come la madre, aveva lo stesso profilo, lo stesso sguardo, gli stessi atteggiamenti... Ed anche lo stesso acume.
"Lo sai che sei una bambina speciale?" le disse avvicinandosi e appoggiando i gomiti sul tavolo, mettendosi alla sua stessa altezza.
D'un tratto si sentì abbracciare da delle piccole manine ed una vocina che gli sussurrava "Ti viglio bene" Era la sensazione più bella che avesse mai provato... Era sua figlia, la conosceva da meno di tre giorni, ed era già quanto di più importante potesse mai avere.
"Allora... Apriamo questa busta!" disse sfilando da una fessura nella busta un foglietto. Un'altra scritta in ebraico che lui non capiva. L'inchiostro però era diverso, era più denso, e sembrava ancora fresco. Emanava uno strano profumo, e quando lo annusò, un odore pungente penetrò nelle sue narici facendolo starnutire.
Ariel rise di gusto, cercando di scansare le goccioline di saliva.
"Blah Tony" si mise una manina sull'occhio pulendoselo.
"Ehi... Ti schifi dei geni del tuo pa... pa... pappagallo?" Non voleva rivelare in quel modo alla figlia di essere suo padre, e preferiva farlo con Ziva. Aveva rischiato davvero grosso!
"Pappagallo?" rise Ariel.
"Certo! Non lo sai che i pappagalli sputano?" disse prendendola in braccio e portandola nella culla.

Verso le 3:30 del mattino, Ziva tornò finalmente a casa. Ducky era finalmente uscito dalla sala operatoria, dove c'erano state diverse complicazioni, e si era rivelato necessario svolgere un'altra operazione di posizionamento di un pacemaker sull'aorta per poter continuare. Ziva aveva aspettato che si svegliasse, perché non si trovasse solo, ma si rese conto che quel giorno non era stata proprio con la sua bambina, e probabilmente ora aveva difficoltà a dormire. Continuava a pensare alle parole di Tony, e allo sguardo colpevole che aveva quando le aveva detto che a breve si sarebbe sposato. Non era arrabbiata, ma sentiva una strana sensazione logorarla dentro.
Quando arrivò a casa di Tony, lo trovò ancora sveglio, a bere un boccale di Bourbon.
"Tua figlia voleva aspettarti prima di dormire... Mi ha fatto passare le pene dell'inferno prima di addormentarsi!" disse appena la vide entrare, sperando che la tensione delle ore precedenti si fosse smorzata.
"Nostra figlia!" precisò. Non sapeva perché ma sentiva il bisogno di renderlo chiaro.
Andò in camera e la vide stesa nella sua culla, mentre dormiva come un angioletto. Le accarezzò la fronte, scostandole un riccio che le cadeva sullo zigomo, e le diede un piccolo bacio, prima di tornare da Tony.
"Quando... Quando ti sposerai?"
"Il 23 Settembre..."
"Il giorno dopo il compleanno di Ariel..."
"Ascolta... Io ero andato avanti. L'avevamo deciso prima del tuo arrivo, e non posso permettere che le cose cambino"
"Ma le cose sono già cambiate! Ora sei un padre! Cosa farai? Andrai via con lei e tornerai a salutarla una volta l'anno?" disse in un impeto di rabbia, cercando di mantenere la voce bassa per non svegliare la figlia.
"Ziva ma cosa ti salta in mente? Lei è anche mia figlia, e non la abbandonerò!" le rispose a tono.
"So cosa vuol dire vivere con dei genitori separati, e ti assicuro, che anche se non è raro che accada, fa molto male!" gli avrebbe urlato contro, ma il pensiero di svegliare Ariel nel cuore della notte la fermò.
"Noi non siamo separati! Noi non siamo mai stati insieme!" lo disse con una tale foga, che sembrava volesse convincere più se stesso che Ziva.
Quelle parole furono delle pugnalate. Dopo tutto quello che era successo quel giorno, questo era troppo.
Tony si era alzato per andare a dormire, quando sentì Ziva parlargli con un altro tono di voce più disperato.
"Tu sei come loro!"
Tony non capiva a chi si riferisse.
"Tu sei come loro!" urlò, ormai non curante del tono di voce, portandosi una mano sullo stomaco, e trattenendo le lacrime.
"Ma loro chi?" chiese. Continuò a rimanere nella sua corazza di acciaio, anche se avrebbe voluto abbracciarla, e dirle che qualunque cosa stesse pensando, non era così. Ma forse l'orgoglio, o la paura di essere rifiutato, lo spingeva a fare il contrario... Peggiorando solo le cose.
"Jamaal! È tornato! Ed io l'ho ammazzato! Ma un terrorista ha la capacità di continuare ad uccidere anche da morto!"
Si rese conto in quel momento che non sarebbe mai riuscita a liberarsi di quei ricordi, di quelle immagini e di quel dolore, anche se lui era morto.
"Jamaal? Tornato? Parli del terrorista di oggi? Tu... Tu lo conoscevi?" chiese confuso, iniziando a cedere.
"Era il fratello di Saleem Ulman!"
Tony rimase spiazzato per un attimo, poi si riprese.
"E lo ricordi ancora?"
Un attimo dopo si rese conto della stupidità della sua domanda. Certo che ricordava il volto del suo attentatore, ma non capiva perché l'avesse paragonato a lui.
"Ed io sarei come loro?"
"È impossibile dimenticare quando sei stata violentata... E ogni cosa mi riporta alla Somalia! La gravidanza di Ariel è durata solo 7 mesi per un siero che mi fornivano, ed è per questo che non ho mai pensato fosse tua figlia!" disse in tono più serio e controllato, sollevata dal fatto che non era scesa neanche una lacrima dai suoi occhi.
"Ti somministravano un siero per la gravida..." Stava per domandare, quando fece mente locale. Si ricordò della ferita che aveva visto a Berlino, di quello che aveva visto fuori dall'obitorio, il sangue che usciva dallo stesso punto, ed ora un siero per la gravidanza...
"Ziva..." Aveva capito. Non sapeva cosa dire. Si rese conto del perché Ziva l'avesse paragonato a loro, ma non era quello che intendeva. Aveva lasciato credere a Ziva che anche lui, quella sera, come Adam, e come ognuno di quei terroristi, si fosse solo servito di lei e delle sue debolezze. Ma non era così. Ed ora non sapeva come farglielo capire.
Si sedette accanto a lei.
"Ma perché in tutto questo tempo non hai mai detto nulla?" disse sfiorandole il braccio con una mano. Ziva si ritrasse, quasi spaventata da quel gesto. Si alzò, e andò a stendersi sul suo letto.
Tony aveva bisogno di spiegazioni, di parlare, ma capiva che quella giornata doveva essere stata tremenda per Ziva, e preferì aspettare l'indomani.
Ziva si stese su un lato e chiuse gli occhi. Il ragazzo la raggiunse poco dopo, notando le pieghe sul cuscino, formate dalla stretta presa della ragazza. Era ancora sveglia, ma non disse nulla.
Si stese dall'altro lato del letto.
"Vattene" sussurrò Ziva, ma con voce troppo flebile perché la sentisse... Pensò.

My Reason To Go OnDove le storie prendono vita. Scoprilo ora