E tempi in prestito

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« Ci accampiamo qui, stanotte? » mi domandò Ron.

Mi fermai, affondando con i piedi nella terra morbida del sottobosco. Annusai l'aria e il piacevole odore di resina; voltandomi a guardare uno spazio tra gli alberi, decisi che andava bene ed annuii. « Passo agli incantesimi di protezione. Tu pensa alla tenda » gli dissi.

Lui ed Harry sistemarono il nostro riparo provvisorio, in quella notte di fine Luglio calda e secca; con la bacchetta tesa verso il cielo, io mormorai le magie di rito.

« Anche stavolta un nulla di fatto. Sentivo che a Moonhigh non ci sarebbe stato nessun Horcrux » borbottò Ronald, stendendosi di lato al fuoco.

« Anch'io lo sospettavo. Ma d'altronde le informazioni in nostro possesso sono davvero poche » fece Harry.

« Non perdetevi d'animo » gli sorrisi, tirando da sopra le fiamme una piccola pentola. « La prossima volta saremo più fortunati. »

Harry venne a sedersi con entusiasmo al mio fianco, stringendomi il braccio. « Finalmente. Mi mancava vederti sorridere. »

Io distesi di più le labbra, abbassando lo sguardo sui ceppi incandescenti; ma le guance persero un po' di forza e il sorriso si affievolì.

Erano passate due settimane dall'ultima volta che avevo pianto. Avevo ricomposto, fin troppo rapidamente, me stessa. Il dovere e l'impellenza della guerra non mi avevano permesso di riflettere, di restare egoisticamente a compatirmi.

È accaduto e deve farsene una ragione. Questa la frase che avevo sentito uscire dalla bocca di Malocchio quando non pensava potessi sentirlo; mi era sembrata, dopo appena un paio di giorni, ed il primo che mi degnavo di mangiare, la frase più orribile e priva di sentimento che qualcuno potesse pensare di dire. Ma poi mi ero accorta che quella era l'unica frase che dovevo onorare e a cui dovevo sottostare nella mia situazione.

Ero la pedina di una partita a scacchi di un'importanza più che determinante; si trattava di giocarsi le ultime carte e di portare il mondo magico verso la sconfitta o la rinascita.

Non c'era tempo per me. Non c'era mai stato tempo per Hermione, solo per il soldato che ero diventata per l'Ordine. Non c'era stato tempo nemmeno per Draco, per il suo sacrificio, tempo per riflettere e per evitare l'inevitabile. E in una vorticosa situazione fatta di sotterfugi e tempi in prestito che rubavamo al nemico, non c'era la possibilità di fermarsi e compatirsi, fermarsi e smettere di agire: la guerra, quel fiume in piena che correva rapido, mi avrebbe travolto e distrutto. Dovevo continuare a camminare.

Correre, correre, correre.

Alzai lo sguardo. « Domani direi di controllare nel paese limitrofo, giusto per essere sicuri. »

Harry lasciò la presa sul mio braccio e annuì grave. « Altrimenti si ricomincia a correre contro il tempo. »

L'alba trovò i miei occhi svegli. Anche se ero tornata troppo presto a combattere, ciò non voleva dire aver cancellato la tempesta che mi scoppiava dentro la gabbia toracica, graffiandomi i polmoni quando respiravo più forte, strisciandomi fino al cervello e riempendolo di tuoni neri, sogni nefasti, che mi facevano tremare le vene e i polsi.

L'alba era chiara e pulita, lenta e calma; non era a conoscenza – o non si curava – dei nostri tempi stretti.

Mi sollevai a sedere e mi legai i capelli, alzandomi in piedi e stirando il colpo verso il cielo. Roteai il collo e lo sentii scricchiolare; mi affacciai nella tenda e chiamai i ragazzi.

Ci mettemmo in marcia per il paese vicino, smaterializzandoci più in là nel bosco e poi continuando a piedi.

« Facciamo il punto della situazione » annaspò Ronald camminando, « Il diario che aveva mia sorella era un Horcrux, giusto? »

Polisucco (sospesa)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora