E istinti incontrollabili

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Intro: Eccomi di nuovo! Sono stata brava, vero? u.u Vi regalo anche un piccola gif (la trovate qui sopra!) che ho realizzato (sto imparando e la qualità del video faceva schifo xD) immaginando che, nel film, Hermione avesse detto cose che rimandavano a Draco mentre respirava l'amortentia... e che lui se ne accorgeva xD

ps. il capitolo finisce in sospeso: lo so di essere sadica ma m'impegno ad aggiornare quanto prima u.u



***

Erano le quattro di notte e fissavo il soffitto della mia camera da letto. La luce della luna filtrava tra gli spiragli delle tende e io me ne stavo nudo a cercare di zittire il cervello.

Tra qualche ora avrei dovuto essere dall'altra parte dell'Inghilterra: dovevo incontrare un vampiro che stava a capo di una cospicua cerchia di suoi simili. L'obiettivo era quello di convertirlo alla causa del Signore Oscuro, anche se il punto era solo trovare qualcosa che desiderasse in cambio del suo supporto.

Da lì a poche ore mi aspettava un duro e diplomatico incontro, in cui avrei avuto bisogno di tutta la mia lucidità. Ma da cosa dipendeva la mia lucidità, la mia calma e il mio raziocinio? Era inutile che continuavo a mentire a me stesso.

Volerla proteggere era sempre la mia priorità ma la vocina egoista che lampeggiava nel mio cervello continuava a suggerirmi che senza di lei non sarei stato in grado di affrontare niente. Che se l'ultima immagine di Hermione era quella di lei che mi veniva strappata dalle dita, con gli occhi rossi e spalancati, io non ero in grado di andare avanti. Non ero così forte, non lo ero mai stato. Ero egoista, bastardo e vigliacco; avevo sempre pensato solo a me stesso e probabilmente avrei continuato a farlo. E pensare a me stesso significava vederla, vedere il suo sorriso, sentire i suoi incoraggiamenti, prendere un po' della sua forza.

Da solo non valevo niente. Era sempre stato così.

La finestra della camera di Hermione, che condivideva con quei due, era buia. Come del resto tutta la palazzina e l'intera strada, immersa nel silenzio e nell'umidità degli ultimi momenti della notte.

Mi passai i palmi delle mani sui pantaloni neri e le nascosi nuovamente sotto i lembi del mantello. Tenni il viso sollevato verso quel vetro, chiarendo a me stesso che se non l'avessi vista apparire nel giro di dieci secondi avrei fatto marcia indietro. Era un gioco perverso; a poche ore dalla sua liberazione, alle quattro e mezza di notte, non avrebbe mai potuto essere sveglia. Era sicuramente crollata - e sperai davvero che stesse dormendo, cercando di recuperare tutte le forze che aveva perso anche per colpa mia.

Uno, due.

Strinsi e aprii i pugni, un paio di volte. Avrei potuto chiamarla, lanciare un sassolino alla finestra cercando di attirare la sua attenzione. Ero venuto per vederla, cosa diavolo stavo facendo lì impalato?

Tre, quattro. Cinque.

La verità era che una parte di me sperava che non mi vedesse. Così sarei tornato a casa, avrei recuperato i lumi della ragione e avrei continuato il mio percorso di scelte sensate - per così dire.

Sei.

Ma lei doveva vedermi. Io avevo bisogno che lei sentisse che ero lì.

Sette, otto.

L'idea di saperla ferita dalle mie ultime parole non mi pareva più una buona idea. L'idea di sapere che magari stava piangendo, mettendo in dubbio tutto ciò che pensava di aver visto tra noi, mi indeboliva. Ma cos'era meglio? Un dolore adesso o un dolore futuro, quello che sentivo le avrei dato?

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