ANNULLAMENTO DI MATRIMONIO

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POV ALEC

Avevo sperato che se la sera prima mi fossi ubriacato fino a non reggermi più in piedi sarei riuscito a dormire tutto il giorno successivo, svegliandomi magari con il corpo nudo di una puttana di cui non ricordavo il nome. Pensavo al sesso solo oziosamente, come se i piaceri della carne avessero perso d'importanza. Vi erano alcune volte che il mio corpo reagiva a stimoli visivi, ma appena il ricordo di Nadine bussava alle porte della mia memoria, il membro mi si sgonfiava, ricordandomi che non sarei stato in grado di usarlo con una donna che non fosse lei. 

Mi ero attardato fin quasi all'alba in compagnia del mio esercito, euforico ancora dal viaggio a Londra, sebbene non avesse portato beneficio alla nostra situazione né al monarca. Eravamo in uno stallo, incapaci di procedere verso la vittoria e troppo impavidi per regalare a tavolino la nostra disfatta. La birra era scorsa a fiumi ed io c'ero annegato dentro fin quando la nausea mi aveva reso incapace di ingurgitare altro.

Tuttavia i miei occhi si aprirono poche ore dopo l'alba e la luce ambrata del mattino mi bruciò le retini. Mi portai un braccio sul volto, ignorando a stento le trombe che preannunciavano l'inizio di una nuova giornata e lasciai che ogni parte della testa si ricollegasse al dolore persistente, cui aveva trovato via di scampo in brevissime ore di sonno profondo. 

Nell'alcol avevo cercato l'annebbiamento più totale ma tutto ciò che avevo ottenuto era una bocca impastata, un mal di testa che avrei ricordavo negli anni a venire e dei ricordi ancora più vividi. 

E la giornata era appena iniziata.

Mi tirai su con un certo sforzo e posai i piedi sul grande tappeto a copertura del pavimento grezzo della mia camera da letto. La vertigine fu immediata, accompagnata dalla nausea. Mi massaggiai le tempie con i pollici, come se quel semplice gesto potesse spazzar via i ricordi.

Nadine!

Potevo fare di tutto ma quel nome restava lì, come un chiodo incastrato nel cervello che con lo scoccare di ogni ora penetrava sempre più in profondità. 

Ma Nadine non c'era più.

Non avrebbe più potuto esserci.

La sua nuova vita era appena iniziata ed io ne avrei fatto parte solo marginalmente. Esattamente come un vassallo incaricato ad assistere il proprio cavaliere durante una giostra; in pochi sapevano il ruolo fondamentale di quei vassalli e la fatica che accompagnava il loro lavoro. Tutti avrebbero lodato il cavaliere e non avrebbero speso una sola parola di elogio per questi personaggi secondari che li avevano assistiti. La mia condizione era prettamente collegata: Renuar sarebbe diventato il cavaliere di Nadine. Io il suo vassallo. Lui l'avrebbe vinta. Io l'avrei salvata. E l'avrei salvata lasciandola a lui.

Mi spinsi fuori dal letto e mi avviai barcollando verso lo studio. Avevo bisogno di bere. Preferibilmente qualcosa che non mi avrebbe fatto vomitare. Come un automa percorsi a piedi nudi il pavimento di pietra del corridoio e mi fermai a riprendere fiato posando i fianchi contro il bordo della scrivania.

Renuar aveva raggiunto mia moglie la sera prima e non mi era difficile immaginare in che modo avessero trascorso la notte. Afferrai il boccale di birra e lo scagliai contro la parete più lontana, restando poi immobile a fissare il liquido ambrato gocciolare e farsi strada tra le fessure della pietra. Lo sguardo assente restò intrappolato su quell'immagine per un lungo momento mentre la mia testa annaspava alla ricerca di una soluzione per rendere meno doloroso lo squarcio al petto.

"Lord O'Braam, mi dispiace molto", sussurrò lord Geneviev. Le gocce di pioggia sui suoi capelli scuri brillavano come minuscole stelle incastonate nella notte. Lo sguardo era quello di un uomo disperato, o forse era solo il riflesso del mio che vi si specchiava dentro.

VOGLIO CHE TU SIA MIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora