IL MIO NOME E' MARY CAMPBELL

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POV NADINE

"Sapevo che prima o poi ti avrei incontrata", mormorai in preda all'emozione, incapace di avanzare di un solo passo verso di lei.

Lo dissi più che altro a me stessa perchè sapevo, lo avevo saputo fin dall'inizio, più precisamente dall'ultimo secondo che la mia anima aveva interagito con quella della mia migliore amica, che il nostro non era stato un addio. Ci eravamo ripromesse di rincorrerci tra i vari stadi della storia fino a ritrovarci. Ed ora l'avevo di fronte a me. 

Con le braccia stese lungo i fianchi mi studiava attentamente e poco importava se i suoi occhi erano socchiusi in quel modo che faceva supporre non ricordasse nulla di me. Anche se sapevo che il modo in cui mi stava studiando avrebbe dovuto insospettirmi, la felicità di ritrovarmi nuovamente di fronte ad un volto fidato mi portò ad ignorare ogni campanello d'allarme.

Lei stessa portava sul volto dei segni che non riuscivo a riconoscere e con molta probabilità i miei stessi occhi la stavano esaminando allo stesso modo in cui lei stava esaminando me. Eppure, malgrado la pelle fosse segnata da rughe che nel futuro non vi erano mai state, nonostante gli occhi fossero più spenti e cerchiati da profonde occhiaie scure, ogni dettaglio su quel volto mi riportava alla mente i momenti che avevamo trascorso insieme. Era lei ma allo stesso tempo era diversa. Non tanto da non essere riconosciuta ma abbastanza da sottolineare che il mio modo di immaginarla nel futuro non si era discostato di molto dalla realtà. 

"Ho davvero tante cose da dirti", attaccai emozionata ma la mia voce si spense quasi subito, accorgendomi che non mi stava ascoltando.

Qualcosa alle mie spalle stava attirando il suo interesse e sembrava preoccuparla.

"So che avete molte cose da raccontarmi", sorrise in un modo che non aveva mai fatto. Era un sorriso vuoto, di quelli che svaniscono prima ancora di raggiungere gli occhi. Sembrava sottintendere qualcosa che a me non era dato comprendere.

Gli occhi immobili contro un punto alle mie spalle sembravano rincorrere i movimenti delle guardie.

"Mi piacerebbe ascoltarle facendo due passi". Allungò un braccio per invitarmi ad aggrapparmi al suo gomito e con la testa indicò il punto in cui le rocce finivano, inghiottite dalla foresta. "Seguitemi! Al riparo dagli alberi non saremo interrotte da vostro marito".

Quando tentennai i suoi occhi divennero più cordiali, quasi complici. "Perchè suppongo stia già facendo il diavolo a quattro per trovarvi. Immagino che siate qua fuori senza il suo consenso".

"Come lo sai?".

Ruotò gli occhi e si lasciò scappare una smorfia così scocciata che per poco non scoppiai a ridere.

"Se somiglia anche così a mio marito", avvicinò indice e pollice per indicare la misura, "sono certa che avrete ben poche occasioni per passeggiare senza uno chaperon".

Annuii, sentendomi più vicina a lei di quanto mi fossi sentita sulle prime. Non sembrava ancora la Mary a cui ero abituata ma il sapere che per certi versi, nonostante l'epoca diversa, la pensassimo allo stesso modo, riusciva a creare una sorta di tacita complicità.

"A quanto pare siamo sulla stessa barca", osservai.

"E' dovere della donna accontentare i desideri del proprio marito senza sollevare lamentele".

La complicità vacillò.

"Per questo poi ci ritroviamo a fare le cose di nascosto", aggiunse, ammiccando. "Perciò nessuna lamentela ma solo apparente ubbidienza. E' quello che avete fatto anche voi proprio adesso, no?".

Senza più badare alla prudenza mi aggrappai al suo braccio. "Di solito faccio tutte e tre le cose: mi lamento, quindi disubbidisco e quando mi è impossibile agisco di nascosto".

VOGLIO CHE TU SIA MIADove le storie prendono vita. Scoprilo ora