Capitolo 10

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E lei si svegliò, nel cuore della notte.
Era un sogno, l'ennesimo che si interrompeva prima che Ann riuscisse a capirlo.
Ma quell'ultimo sogno non aveva bisogno di spiegazioni, le era stato chiaro fin dall'inizio che provava qualcosa per Nathan ma era troppo presto per parlare di amore. In realtà non lo conosceva neanche. Ovviamente come tutte le ragazze della sua età aveva avuto molte cotte, da Bryan il ragazzo dei giornali a Scott il pizzaiolo dalle braccia tatuate, poi si era messa con Jake. Ma non era quello l'amore.
L'amore non è accontentarsi della persona che si ha accanto per paura di rimanere soli, come aveva fatto il suo ex, ma non è nemmeno restare con una persona solo per non farla crollare nei momenti difficili, come aveva fatto lei.
L'amore è molto di più. L'amore ti fa fare delle cose che non credevi possibili, ti fa scoppiare il cuore nel petto, ti fa sentire come se fossi sempre nel posto giusto. Amare significa proteggere, esserci nei momenti belli e ancor di più nei momenti brutti. Significa prendersi cura della persona che si è fatta posto nel nostro cuore e accertarsi di dargli sempre motivi per rimanerci.
Quella notte Ann non fu l'unica ad avere fatto un sogno che la svegliò. Solo che ci sono sogni dolorosi, ricordi che non vorremmo mai rivivere.
Gli ospedali non sarebbero mai piaciuti a quel ragazzo, era sempre tutto appeso a un filo e quella volta ad essere in pericolo era una persona troppo importante.
Era seduto ad aspettare risposte in quella sala d'attesa da diverso tempo ormai.
Con lui c'erano i famigliari di Katherine, la sua ragazza, alcuni amici e altre facce a lui sconosciute.
Erano tutti lì nell'attesa straziante che qualcuno uscisse dalla sala operatoria per dire che lei era stabile.
Nathan guardò l'orologio digitale che segnava: 03:47-08.08.2012.
Un dottore uscì dalla stanza in cui era entrato ore prima, si tolse la mascherina e guardando i genitori di Katherine fece cenno di no con la testa.
Loro gli andarono incontro e iniziarono a piangere mentre il dottore accennava alla possibilità della donazione degli organi ancora sani.
Nathan era assente. Non sentiva più niente. Gli era appena crollato il mondo addosso.
Non poteva succedere davvero, pensava.
In quell'istante si svegliò, quasi non riusciva a respirare, aveva il viso rigato dalle lacrime.
Era quasi un anno che non faceva più quel sogno ma ogni tanto tornava a tormentarlo.
Quei ricordi lo uccidevano dentro ogni giorno da quando era accaduto.
Decise di prendere aria, doveva uscire di lì, dalla sua camera, da quelle quattro mura che sembravano opprimerlo fino a togliergli l'ossigeno.
Indossò un paio di pantaloni della tuta, una felpa pesante e uscì di casa.
Era notte, le uniche luci accese erano i lampioni e le insegne dei minimarket aperti ventiquattro ore su ventiquattro.
Camminò un po' e iniziò a correre non appena il respiro gli tornò regolare.
Aveva il bisogno di sfogarsi, di esternare le sue emozioni perché ormai, dopo quattro anni, aveva finito le lacrime.
Dopo qualche chilometro decise di tornare a casa, non era più sicuro dell'invito a cena per Ann ma non ci voleva pensare. Il giorno seguente lo aspettava una lunga giornata di lavoro. Proprio quello che gli serviva per concentrarsi su qualcos'altro.

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