Panico

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Ero nella sua casa, una casa famigliare e orribile.

Lui rideva e mi piacchiava, poi il vuoto, nero , buio.

Mi svegliai urlando fra le coperte bianche dell'ospedale, e un odore di medicinali mi entrò nelle narici.

Il mio respiro era affannato, e delle gocce di sudore mi scendevano lungo le tempie.

Qualcuno alla mia sinistra mi mise una mano sul petto per farmi stendere, siccome ero saltata su come un coniglio; 

''Hei, giù stai calma è solo un sogno'' Il sorriso rassicurante di Marco

''Marco, ti voglio bene''

''Anche io carotina'' disse facendo comparire una fossetta sulla sua guancia

Poi mi prese la mano e me la accarezzo lentamente, guardandomi negli occhi

''Stai meglio?''

''Si, ora si''

''Hai dormito per una giornata intera eh dormigliona!!''

Sorrisi, anche se mi faceva male il viso, ogni singolo muscolo era dolorante.

''Sei rimasto sempre qui?''

''Sempre.'' 

''Grazie''

''E di che! Dai, non fare la vecchia ora, su un po' di allegria, guarda ho mandato tua madre a prendere a casa un regalino che ho preso per te prima di venire...'' Così dicendo tirò fuori un enorme orso di peluche, ma proprio enorme, che mi fece brillare gli occhi dall'emozione.

''E'... E' per me!?''

''Già, tutto tuo''

Lo presi fra le braccia come un tesoro e lo abbracciai amorevoltente, respirando l'odore che aveva, quello di Marco.

''Hei, mi dici che cosa hai sognato?'' 

''Nulla, non mi ricordo...'' dissi mentendo

'' Forse raccontare ti puo' far sentire meglio..''

''No''

''Si, gli amici servono anche a questo, ad ascoltare..''

''Fa male''

''Lo, so, ma parlarne ti farebbe meglio..''

Così presi un lungo respiro e iniziai a raccontare di come mi aveva rapita, della cassa in cui mi aveva chiusa e dei dolori lancinanti che avevo provato.

Ma in stavo male, troppo male e così scoppiai in lacrime urlando, avevo delle immagini scioccanti impresse in testa, orribili.

Guardai le mie unghie e urlai urlai, come una pazza, guardai le mie braccia e sfogai tutto il mio odio, la mia ira, la mia tristezza, vedendo le ferite, vedendo come mi aveva rovinato, sentivo il malessere uscire e punzecchiare le ferite meno evidenti, quelle che provavo che mi si erano formate con la delusione di aver fatto del male ai miei cari e a me stessa.

Marco chiamò i medici, prima che avessi un attacco epilettico

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