Chapter 14

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Sophia's POV

Uno sparo, un colpo che sembra penetrare dentro un corpo, mi fa balzare in aria.
Ho le spalle appoggiate al muro, non ho visto la scena perché non volevo guardare James cadere per terra sanguinante.
Sono indecisa se correre da lui prima che possa morire dissanguato o aspettare Tom che se ne vada, prima che spari anche me.
Sento dei passi che si allontanano sempre più fino a raggiungere la porta principale dell'Università, e a passi svelti facendo anche rumore con i tacchi, corro da James.
E' come immaginavo: è lì disteso per terra con un piccolo foro vicino il fianco destro dove esce molto sangue.
Non riesce a muoversi, è piantato lì tossendo una piccola quantità di sangue che poi scivola lungo la sua maglietta bianca.
Ad un tratto chiude gli occhi.
Guardandolo in quelle condizioni, mi avvicino a lui portando la sua testa in grembo.

"James. James, ti prego svegliati!" provo a dargli dei piccoli schiaffi sulla guancia, sperando che apra gli occhi.

"James!" sto per piangere, le mie lacrime cominciano a soffocarmi gli occhi inondando poi le mie guance.

Ed ora cosa faccio?
La mia mente è troppo occupata ad essere nel panico, quando la soluzione può essere dietro l'angolo.
Non sono brava a salvare le persone, primo perché non l'ho mai fatto e secondo perché è la mia prima missione e sono super agitata.
Guardo intorno e poi mi rendo conto che l'unica opzione è chiamare l'ambulanza.

"Sto chiamando l'ambulanza." dico a James, anche se sicuramente non mi starà ascoltando.

Afferro il telefono ed  immetto il numero.
Il telefono squilla una, due, tre, quattro, cinque volte e sembra che non ci sia nessuno tranne me, James e gli squilli.
Finalmente qualcuno risponde.

"Pronto, sono nella New York University e hanno sparato un mio amico." Mi rendo conto che per come l'ho detto, sembro una stupida.

"Arriviamo subito, dimmi la via."

"Non la so." Brava Sophia, mettiti in ridicolo più di quanto non lo sia già. "Ma si trova nella Greenwich Village, Manhattan."

"Stiamo arrivando. Se siete all'interno dell'edificio, cerca di prenderlo in braccio e portarlo fuori, così noi possiamo recuperarlo subito."

"D'accordo."

Stacco il telefono e la prima cosa che faccio, è cercarlo di prenderlo in braccio.
Con la mano sinistra gli stringo le spalle e con la destra le gambe, con la testa ancora in grembo.
E' difficile portarlo fuori perché ha un corpo grande e robusto avendo tutti quei muscoli, e per una come me che è più bassina e da un corpo fine, è un'impresa portarlo in braccio.
Mi trascino con i piedi, finché non arriviamo alla porta e fortunatamente riesco ad aprirla dando un calcio.
Esco e noto che l'ambulanza è arrivata prima del previsto.
Due infermieri aprono rapidamente lo sportello ed un altro ancora tira fuori la barella.
Ormai priva di forze, trascino il corpo dalle braccia e loro mi aiutano a caricarlo sulla barella.

"Posso venire con voi?" chiedo moderando il tono della voce.

"Mi dispiace, ma non puoi."

Sentendo quelle parole, mi arriva una fitta al cuore.

"Perché?!"

"Dobbiamo rianimarlo."

"La prego, mi faccia entrare, ho bisogno di stargli vicino."

"Ci siamo noi vicino."

Spinge il mio corpo all'indietro e cado per terra.
Scoppio a piangere, come se stessi per urlare.
Ma cosa mi sta succedendo? Non sono mai stata così male per una persona.
Portano James nel veicolo e dopo si allontanano dall'edificio.
Non posso mollare, non ora.
Devo trovare qualcosa che possa raggiungerlo, perché è un po' complicato andare in ospedale a piedi.
Mi compare ai miei occhi la sua macchina e così decido di imbucarmi dentro e accendere il motore.
Sono talmente in ansia che sto guidando più velocemente di quanto non dovrei in città.
Non mi importa se i poliziotti mi fermeranno e mi multeranno, ormai non mi importa più di niente.
Ho solo bisogno di vedere James.
Parcheggio la macchina in doppia fila e corro verso l'entrata principale del pronto soccorso.
Corro in quel corridoio stretto, fino a quando non arrivo davanti alla sua stanza.
Sto per afferrare la maniglia della porta, quando una giovane donna mi prende dai fianchi e mi trascina lungo il muro davanti a me.

"Non ti è permesso entrare."

"E perché?"

"perché se leggi bene l'insegna, ti trovi davanti alla stanza di rianimazione." dice indicando l'insegna tenendo in mano una penna.

Rimango un secondo a fissare il vuoto e quando la dottoressa si è resa conto che mi sono calmata, entra nella stanza.
Mi appoggio al muro, trascinando il mio corpo fino ad assumere una posizione da seduta.
Non mi sono mai accorta di quanto sia così preoccupata per James, non l'ho mai considerato in tutta la mia vita e ora sono qui seduta ad aspettare sue notizie.
Io e James siamo sempre stati cane e gatto, non siamo andati mai d'accordo e facevamo di tutto per ignorarci.
Ma pensando al fatto che si è presa una bella responsabilità ospitandomi e allenandomi in casa, e al fatto che l'altra volta ci stavamo per baciare, sto avendo dei ripensamenti.
Ricordo perfettamente le sue labbra che sfioravano appena le mie.
Vorrei che quella scena si ripetesse.
No, aspetta, ma cosa sto dicendo? Non mi sono seriamente innamorata di James?
Perché ripensandoci, io non sono preoccupata per il fatto che è stato sparato, ma perché voglio averlo vicino.
Vorrei entrare lì e dirgli tutto quello che ora sto pensando, e anche se potessi non avrei coraggio.

"1,2,3.. Libera!" queste parole mi fanno tornare nel mondo reale e fisso la porta.

Oltre a questo, sento le scosse che sicuramente stanno danzando sul suo corpo.
Credo di riscoppiare a piangere; vorrei alzarmi e urlare come una disperata sperando che James sentisse il dolore che sto provando, ma rimango lì immobile.
Sono passate già due ore ed ora sento la calma.
Spero che qualcuno apra quella maledetta porta ed esca informandomi  sul suo stato di salute e spero anche che stia bene, che si sia ripreso, ma non voglio illudermi così tanto.
Ma so per certo che James è un ragazzo forte e se la saprà cavare e io, io posso solo pregare Dio che si rimetta presto.
I miei occhi cominciano a diventare rossi e il corpo diventa sempre più debole, stanco.
Mi trascino lateralmente fino a cadere per terra, sprofondando nel sonno.





LIES // James Maslow Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora