Non seppe per quanto tempo fu trascinata, dove fu portata, né per quanto tempo rimase in quella posizione scomoda e terribilmente d'aiuto nel lasciare che si estraniasse dal mondo. Si sentiva al sicuro raggomitolata su se stessa, come se si fosse creata un guscio tutto suo dove nessuno sarebbe potuto entrare a disturbarla e rompere qualche altra parte di lei. Non seppe per quanto tempo rimase bloccata su quel pavimento scomodo, non seppe neppure per quanto tempo pianse e da quanto il sangue sgorgasse dal suo naso. Non seppe e non volle sapere.
Non aveva ancora aperto gli occhi quando vide Harry che le sorrideva. Aveva le mani dietro la schiena, la camicia bianca lasciava intravedere riflessi scuri dei tatuaggi delle sue braccia. Le sue gambe sempre avvolte da pantaloni neri che risaltavano la loro lunghezza. Sorrideva ed una fossetta vi era sulla sua guancia sinistra. Quando le diede le spalle ed iniziò a camminare nella direzione opposta alla sua, vide cosa le sue mani gentili nascondevano. Era un coltello dalla lama corta e argentea, impugnata saldamente sulla sua mano destra. Harry si avvicinava ad un letto dalle lenzuola bianche. Non vedeva chi fosse la persona stessa sul materasso, ma Cassia temeva fosse suo padre. Sentiva il nodo in gola per la paura che suo padre fosse in pericolo. Harry si appropinquò al letto e si posizionò in uno dei suoi lati. Fu svelto quando con mossa da maestro conficcò il coltello sull'addome di quell'uomo indifeso. Il sangue del cadavere schizzò macchiando la pelle del viso di Harry che impassibile continuava a sorridere. Una visione inquietante, tanto terribile da farle accapponare la pelle.
Cassia spalancò gli occhi bagnati dalle sue lacrime salate. La sua vista annebbiata la bloccò per qualche secondo dal capire dove fosse. Il viso sporco di sangue ormai secco le prudeva e le tirava la pelle. Distese la schiena dolorante e cercò di mettersi seduta mentre la testa le girava.
«Stai bene?» chiese qualcuno.
Sto bene? si domandò. No, non stava bene. Pensò di non avere più un cuore, o forse preferiva crederlo e non pensare al dolore che imperterrito restava a torturargli l'esistenza. Era una vita di condanna, ormai non avrebbe potuto descriverla in differente modo.
«Perché hai gridato il suo nome?» Chiese la stessa voce. Lei conosceva quella voce, le sembrava familiare, ci aveva parlato qualche altra volta con quella voce.
Quale nome? Domandò ancora a se stessa. Non aveva urlato, non ne avrebbe avuto la forza. Non voleva proferire parola.
«Sei viva?» Come in un flashback ricordò le avvertenze di Maximilian, la sua voce calda faceva credere che fosse più grande Cassia. Fu in quel momento che capì che era proprio Maximilian che le stava parlando.
«Si» riuscì a dire se pur non volesse esserlo. Suo padre era morto. Era morto. Era morto e ormai cose le restava da fare?
Non sapeva più se fosse giusto continuare a lottare, ma sapeva che sarebbe stato più semplice morire. E cosa avrebbe dovuto fare?
Aveva sempre creduto nella speranza di un giorno che avrebbe portato con il sorgere del sole una vita migliore, colma di libertà e spensieratezza, ma mai tutto questo arrivò. Al contrario il tempo portò via la speranza, quella che credeva di aver trovato con la piacevole compagnia di Harry, con le sue frasi gentili e con i suoi gesti dolci, ma poi, quella stessa speranza, le era stata portata via con tanta velocità quando aveva visto suo padre privo di vita con l'anima ormai volata tra le nuvole, nella casa degli angeli.
Poi ci pensò. Immaginò quell'uomo robusto, i capelli chiari come i raggi del sole a mezzogiorno, gli occhi splendidi come i ruscelli più freschi. Il suo sorriso smagliante nella quale sapeva nascondere la malinconia di giorni vissuti con la sua amata ormai persa. Suo padre non avrebbe voluto questo per lei. Lui che aveva tanto lottato per tenerla al sicuro tra le sue braccia e lui che tanto avrebbe desiderato vedere da lontano la sua bambina superare ogni montagna e spiccare il volo dalla vetta più alta, per raggiungere i suoi desideri e toccare con mano la libertà.
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Cassia |h.s.|
Fanfiction«Hai posato il piede nella mia cella ed il cemento è divenuto prato.» ©MerciFern2016