27capitolo

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<hai finito di studiare?>mi chiede
<Sisi, non c'era niente da studiare, si doveva fare solamente un riassunto>dico
<bene, bene. Domani usciamo alla seconda ora?>dice
<si.>dico
<ma tu, non studi mai?>dico
<no!>dice
<non importa tanto, perché poi avrò una moglie intelligente>dice
<non puoi vedere nel tuo futuro, che la tua moglie sarà intelligente>dico
<si posso, perché tu sei intelligente, e tu sarai mia moglie.>dice
<ti amo>dico baciandogli la guancia.
<così si da un bacio?>dice
<no, si fa così>dico
Gli prendo il viso fra le mani, e vabbeh do un bacio come si deve.
Mi cade un bigliettino dalla tasca,
Ben lo prende e lo legge:
<"Era matta, da legare.
-Aveva un disturbo mentale? Chiese lo psicologo aggiustandosi gli spessi occhiali da vista sul naso.
Weston rise di gusto.
-Uno solo? Quella donna ne era piena, era più disturbata che bella...e si fidi, era la donna più bella che io abbia mai visto, che qualsiasi uomo spera di vedere o incrociare semplicemente, prima o poi.
-Mi parli di lei.
-l'ho incontrata a tarda notte, dove tutto sembra magico, persino il vecchio pub sotto casa, ha presente ? Quello con l'insegna arrugginita e dalla brutta fama. Giocava a biliardo, aveva un orribile basco calato sulla fronte, Dio mio era proprio disgustoso . Ma lei continuava ad essere così fottuttamente bella, con quel viso da bambina e quello sguardo così nero da farti accendere tutti i sistemi d'allarme che il tuo corpo possiede. Le parlavo in fretta, avevo paura che fosse soltanto un sogno e prima o poi la realtà mi avrebbe strappato via da lei. Le proposi di bere, prese un succo di frutta alla mela verde, in un locale pieno di alcolici lei scelse un semplice succo. Ci crede? Primo sintomo della sua poco sanità mentale. Dubitai che avesse meno dei vent'anni, pensiero stupido. Le sue parole non erano quelle di un innocua ragazzina, bensì quelle di una donna, una donna che se avesse voluto avrebbe potuto staccarti l'anima con i denti da un momento all'altro.
La invitai ad uscire, più e più volte fino ad innamorarmene.
Io con l'amore non ci volevo avere niente a che fare. Ho sempre pensato che esso sia un sentimento disturbato, che ti uccide se non va a buon fine. E quasi mai va a buon fine.
Aveva la mania di decorare qualsiasi cosa le capitava a portata di mano, sedie, specchi, vecchie cornici: lei le innovava. Mi ricordo quando, dopo averle dato le chiavi di casa, la trovai in salotto intenta a pitturare le pareti con colori caldi.
"Che stai facendo?" Le chiesi allarmato. "C'era della muffa, questa casa è piena di spigoli. Ha la necessità di un paesaggio caldo. Ti faccio un murales." La guardai sbieco e infine sorrisi: si, avevo bisogno di qualcuno che mi scaldasse il cuore, la casa, il letto. Qualcuno da amare e stringere. Così mi abbandonai a lei, alle sue piccolezze e ai suoi immensi abissi. Voleva che cucinassimo assieme, diceva di aver letto un libro in cui una sessuologa esponeva che la creatività a letto aumenta svolgendo attività che toccano il quotidiano insieme. Si, esatto! Aveva detto tali parole, non ci ho capito una mazza. Ma era bello passare del tempo con lei, vederla ridere perché non sapevo tagliare una cipolla o pelare una patata. Aveva un linguaggio tutto suo, frutto di tutti i libri che aveva letto, anzi, assorbito.
I libri erano la sua ossessione. Sa, alcune volte credeva di essere la protagonista dei suoi romanzi.
"Oggi chi sei?"
"Una ricercatrice scientifica, un pirata, una donna di poco conto, un uomo con problemi familiari, una gazzella, un fachiro." Amavo questa piccola passione, sembrava vivere mille storie concentrata in una. Preferiva la marmellata alla Nutella e il the al caffè, guardava film sottotitolati per migliorare il suo inglese già eccellente. Quando era triste, si estraniava dal modo.
"Che fai?"
"Aspetto."
"Ma chi?"
"La pioggia."
E quando arrivava, sembrava un vero e proprio uragano. Correva a piedi nudi per le scale, fino in cortile. Poi piangeva e urlava al cielo; diceva che la pioggia le alleggeriva il cuore, le puliva i dolori.
Era matta da legare, ed io ne ero fottutamente perso. Weston fissava il vuoto con un leggero sorriso che faceva da cornice al suo racconto.
-E poi ?
-Lei andò via ed io divenni matto, senza una ragione. Un giorno mi alzai e lei era non c'era più. perché crede che mi trovi nel suo studio dottore?
-Lei non è pazzo.
-la normalità senza la sua follia mi annoia.
Un tuono illumino le finestre dello studio, Weston si precipitò sulle scale.
-Corro dottore, devo andare.
-Ma dove va ?
Ma Weston era già fuori, sotto il diluvio.
Una voce maschile si udì urlar contro il cielo.">
<sembri tu>dice
<cosa?>dico
<ti sei descritta?>dice
<no, era solo un ragazzo  che disse queste parole al suo dottore.>dico
<l'hai trovato su internet?>dice
<no, quando stavo in quel ospedale, la sera ci riunivamo e parlavamo, io scrissi quel che diceva.>dico

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