Anche se il tragitto per tornare a casa non durò più di cinque minuti a me sembrò un eternità. Pregavo Dio e tutti i santi che mi avrebbero risparmiata le frecciatine di mia madre. Ma non ebbi la loro clemenza, non mi risparmiassero.
- Spero che sia stato abbastanza per te questo fiasco per capire che è inutile illuderti. Spero che vedendo la mostra hai capito che non meritavi di provare, sei negata. E chi ti dice il contrario stanne certa che ha altre cose in mente. - continuava il suo monologo mentre io cercavo di starle il più lontano possibile. I miei sforzi per non ascoltare le sue parole sembravano inutili. Ogni sua parola si stampava una ad una sul mio cuore, con un peso insopportabile. Non era abbastanza la vergogna che sentivo, mi sentivo anche in colpa. Dovevo sapere. Cercavo disperatamente di resistere e mostrarmi forte fino ad arrivare a casa.
Finalmente ritornammo a casa ed io mi rintanai immediatamente nella camera di mia nonna con la scusa che dovevo studiare, desideravo che lei fosse stata a casa ma sapevo che sarei stata sola con mia madre per chissà quanto tempo. Avevo bisogno di essere abbracciata e rassicurata ma vedendo la mia fortuna ero sola, come sempre. Mentre mia madre riprendeva a bere nel soggiorno, continuando a sparlare, mi accoccolai sulla poltrona fingendo di studiare, ma la mia mente era altrove. Non dovevo neanche ascoltare cosa diceva, perché tanto già conoscevo il suo repertorio, in tredici anni avevo avuto abbastanza tempo per impararlo.
I miei pensieri erano confusi, mi incolpavo per essere stata così ingenua, perché speravo che almeno una volta mia madre mi avrebbe detto che ero brava, che anche se avevo tanto da imparare era fiera di me. Mi sentivo maledettamente delusa, fuori posto, inadeguata. Pensavo davvero che avesse ragione lei, che non ero abbastanza brava, in niente. Senza accorgermene lacrime amare mi bagnavano il viso, mentre faticavo a respirare. Ero arrabbiata con lei, con me stessa, con tutto il mondo.
Mi sentivo amareggiata e arrabbiata con me stessa. Era vero che sentivo rabbia contro mia madre e la cosa mi faceva sentire ancora peggio. Non riuscivo a capirla. Perché c'è l'aveva cosi tanto con me? Perché non mi amava? Perché non poteva essere come qualsiasi altra madre? Cosa trovava nel alcol che noi non potevamo darle? Odiavo lei perché beveva e diventava aggressiva e che c'è l'aveva e se la prendeva sempre con me. E ciò mi faceva odiare me stessa. Mi sentivo in colpa perché avevo questo sentimento verso di lei, mia madre. E sapevo che non era solo colpa sua ma dell'alcol.
Io desideravo una famiglia normale, volevo essere abbracciata e coccolata da mia madre senza dover dare spiegazioni perché volevo essere abbracciata. Volevo parlare con lei senza temere le conseguenze.
Ero consapevole che in ogni famiglia ci fossero problemi, che si litigava, ma erano diversi dalla mia famiglia. Da noi era normale sentire ogni giorno urlare e litigare, sentire rompersi bicchieri e piatti, porte che sbattono, noi che piangevamo o che dormivamo dai vicini. Abbiamo imparato presto che dovevamo tenere una certa distanza da mia madre, almeno dovevamo provarci perché non ci riuscivamo sempre. A dire il vero io non riuscivo. Mi trovavo sempre in mezzo. Più cercavamo di starle lontano, lei più attaccava. Mio padre tornando dal lavoro molte volte non riusciva neanche a cenare che andava via di nuovo preferendo lasciarci a casa con lei. Lui diceva che sarebbe stato meglio così, e aveva paura che se fosse rimasta sola avrebbe perso la pazienza senza volerlo. Mia nonna si chiudeva nella sua camera, e se noi andavamo da lei, cercando rifugio tra le sue braccia ottenevamo risultati ancora peggiori. Mio fratello era il più piccolo ed era quello che mai aveva colpe, e rimanevo io ad ascoltare tutte le colpe di mio padre, di mia nonna, dei miei nonni paterni che quasi non conoscevo. Ho imparato ad ascoltare fingendo di non ascoltare, ma ogni parola era come uno schiaffo .
Tutto questo mi faceva stare male, mi sentivo abbandonata, ignorata. Mi vergognavo per tutte quelle cose che sentivo. La rabbia, l'odio, perché desideravo qualcosa che non avrei potuto avere, mi vergognavo perché non sapevo essere contenta per quello che avevo. Pensavo che tutto era a causa mia, e che se era vero quello che diceva mia madre, che non dovevo neanche nascere, andando via tutto si sarebbe messo apposto.
Non so quanto tempo fosse passato ma mio padre era tornato a casa senza che me ne accorgessi, era insolito che lui tornasse così presto. Lo sentivo parlare con mia madre, mentre la rimproverava perché beveva di nuovo. Sapevo che dovevo alzarmi e andare da loro per cercare di non farli litigare di nuovo, così mio padre non andava via lasciandomi sola. Prima di entrare in soggiorno mi fermai per qualche secondo ad ascoltare la loro conversazione e per trovare il coraggio.
- Amelia, cosa hai fatto di nuovo? Perché non riesci a controllarti almeno un po'? - sentivo la voce di mio padre stanco e rassegnato.
- Perché mai? Sentiamo, cosa ho fatto di nuovo? - rispondeva mia madre – Ho pulito la casa, ho cucinato, e ho accompagnata la tua cara figlia a quella mostra. Cosa c'è di sbagliato in questo. Ah, tu ti riferisci al bere!? Beh è colpa vostra, tua e di quei stronzi dei tuoi genitori. - la sua voce era piana di odio e disprezzo, capace di ferire nel profondo.
- Amelia non ricominciare, sai che non mi piace quando fai cosi. E poi non è vero. Non dovevo lasciarti i soldi nelle mani. - diceva come un rimprovero verso se stesso - Io lavoro tutto il giorno come un matto e tu che fai bevi e non fai niente da anni, solo litighi. Non capisci che se continui cosi rimarrai sola. Cosi allontani tutti da te, e questo che vuoi?
- Io che sbaglio vero? Tu mai, e tutta colpa vostra se i bambini mi odiano. Mi avete distrutto, voi avete trovato piacere facendomi del male! - cominciava ad urlare lei. Dovevo intervenire prima che la situazione sarebbe degenerata.
- Tu maledetta stronza, con cosa ti abbiamo distrutto? Sì leale, avevi tutto, non ti mancava mai niente. Ma no a te non era mai abbastanza, tu preferivi di attaccarti a quella maledetta bottiglia... - urlava mio padre con il pugni stretti mentre io entravo.
- Mamma, papà non litigate! - esclamai con la voce che tremava.
- Non litighiamo, tranquilla. - mi disse mio padre .
- Ed ecco che arriva la tua piccola figliola a salvare la situazione! - sbottò mia madre con disprezzo. Mio padre la fulminò con lo sguardo poi si voltò dicendo che sarebbe stato meglio se fosse uscito, mi avrebbe aspettata nella rimessa per aiutarlo.
- Arrivo papà - non riuscii neanche a pronunciarlo che mia madre mi interrompe urlando dopo di lui. - Non dimenticare che e tua figlia maledetto!
- Mamma! - esclamai io ferita da questa sua insinuazione.
- Che c'è, credi che non lo sappia cosa fate voi due in rimessa? Sei cosi ingenua! Cosa credevi che voleva da te quello stronzo di amico di tuo padre? La carità!?
- Sei ingiusta mamma, come puoi insinuare queste cose? Ma ti senti quando parli? - chiedevo mentre lacrime di vergogna e rabbia mi rigavano il viso. Uscì di casa sbattendo la porta dietro di me, pensando che sarebbe stato meglio morire che continuare a vivere così.
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Sognando un futuro diverso
General FictionIsabella Weiss, ad un età fragile, decide di lasciare la casa dove era cresciuta . La sua decisione, un po' per scappare e un po' per realizzare il suo sogno ,la porterà lontano . Dovrà affrontare tante difficoltà, sperando che il suo futuro sarà di...