Isabelle spinse via il piatto con una mano, rifiutando quella delizia di cioccolato con uno sguardo spento.
Capiva perché avevano voluto allestire tutto quello così in fretta, davvero, dopo tutte le orrende cose accadute Clary e Jace sentivano di dover trovare un appiglio in quel mare agitato, un faro nella tempesta per evitare di affogare o di perdersi, qualcosa che li tenesse a galla.
Era partita come una cosa intima e semplice, in famiglia, poi in qualche modo la voce del matrimonio del decennio si era sparsa e i Cacciatori erano sembrati disposti a far di tutto pur di ottenere un invito.
Così un grande giardino era stato messo a disposizione dei nuovi coniugi Herondale, una mastodontica tendostruttura era stata montata all'interno di esso con drappi dorati al posto del soffitto, piccole cupole al contrario che si agitavano al minimo alito di vento.
Era davvero bellissimo, c'erano tavoli avvolti in stoffe pregiate sui toni dell'oro, composizioni floreali degne d'essere immortalate come nature morte, un quartetto d'archi allietava gli ospiti ed alti e viventi muri verdi circondavano l'evento, snodandosi in dedali e dedali di corridoi naturali in cui i quasi cento invitati potevano imboscarsi tranquillamente e, perché no, anche gli sposini.
Eh be', sì, come tutti avevano notato anche la cucina era fantastica, ma Isabelle non riusciva a godersi né quella né tutto il resto.
Contrariamente a quel che aveva sempre immaginato da quando era divenuto chiaro che suo fratello adottivo e la sua unica amica stabile si sarebbero sposati, non aveva nemmeno tentato di organizzare il ricevimento. No, a dire la verità non aveva mosso un dito, ed aveva passato tutto il suo tempo avvolta alternativamente tra le braccia di Alec, di Jonathan o di Jace.
— Vuoi allontanarti da qui, Iz? — si sentì domandare con tono sorprendentemente soffice per appartenere ad un Morgenstern.
— Magari tra un po' — rispose, sorridendogli debolmente: — Voglio dire, mio fratello si sta sposando. Ed è anche il tuo. Di fratello, intendo. E Clary è tua sorella. Non dovremmo perderci questi momenti. — osservò, prendendo un profondo respiro e recuperando il suo piccolo cucchiaino dal piatto.
Raccolse un piccolo pezzo di torta e lo avvicinò alle labbra di Jonathan, che si dischiusero per permetterle di imboccarlo: — Potevi semplicemente chiederla, se la volevi, sai? Te la stai mangiando con gli occhi da un quarto d'ora, almeno.
All'inizio era stato difficile. Le prime ventiquattr'ore dopo la fine sembravano essersi dilatate all'infinito, le avevano passate a impilare cadaveri, fare condoglianze e tracciare rune, fino a quando non erano scivolate via dalle loro mani tutte d'un colpo, improvvise come un lampo nel cielo.
Non aveva trovato lei corpo, non ricordava il nome dello Shadowhunter che l'aveva fatto, ma non era quello l'importante.
In seguito a quella che era stata una colluttazione fra due angeli, a quanto le avevano detto, una gigantesca onda d'urto luminescente si era scatenata dal loro scontro facendo sprofondare di un metro il lago nel terreno, radendo al suolo tutto quello che c'era nel raggio di venti metri da esso.
Centinaia di guerrieri di entrambi gli schieramenti erano crollati al suolo, alcuni quasi del tutto carbonizzati, altri soltanto ustionati, ma tutti morti.
Lei era stata fortunata, l'unica cosa che aveva sentito da dove si trovava, nascosta dietro i primi lembi della foresta con il corpo allora inanimato del suo ragazzo sulle ginocchia e il suo futuro figlio al fianco, era stato un improvviso quanto effimero aumento della temperatura. Sua madre, però, non era stata altrettanto favorita dalla sorte.
Era riversa su una roccia, le braccia aperte a formare una croce ed il capo reclinato verso sinistra, gli occhi azzurri alzati verso il cielo, del tutto inanimati.
Fu come se le avessero strappato improvvisamente il terreno da sotto ai piedi, come quando Ian impilava i blocchi di legno uno sopra l'altro a formare una torre e poi decideva di sfilare proprio quello che era alla base, facendo crollare tutto.
Tre settimane e mezzo erano passate da quel giorno, ma non erano abbastanza per elaborare un altro lutto nella sua famiglia.
Prima se n'era andato Max. I due giorni immediatamente successivi alla morte di Maryse Lightwood Isabelle si era rifiutata completamente di vedere Jonathan, assillata notte e giorno dal fantasma del suo fratellino che l'accusava di infangare la sua memoria.
Era stato come ripetere tutto da capo, venire schiacciata ancora una volta dal peso della morte, questa volta doppiamente devastante.
Aveva passato duemilaottocentottanta minuti della sua vita senza mangiare e senza bere, serrata nelle lenzuola nonostante delle goccioline di sudore le scendessero lungo la spina dorsale. Un calore innaturale, dovuto più ai tremori che la scuotevano a causa degli incubi che al clima, considerando che la finestra era rimasta sempre spalancata e libera di far entrare l'impetuoso e gelido vento di fine febbraio.
— Pensavo la volessi tu. — rispose il Cacciatore, leccando il cucchiaino d'argento e sfiorandole appena il dito con la lingua.
Le cose erano ancora un po' tese fra loro, sebbene stessero cercando di ricominciare dagli ultimi momenti relativamente innocui che avevano vissuto, ovvero la fuga dal covo di Melchizedeck. Ovviamente, in quella frase la parola chiave era relativamente.
Lei sapeva che, almeno un po', Jonathan c'era rimasto male, specie dopo avergli assicurato che voleva ricominciare a vivere dal presente, e non da quello che avevano fatto quando si conoscevano a stento. A discapito di questo, nessuno dei due era nel torto, e nessuno dei due si sarebbe scusato per ciò che aveva fatto, sebbene fosse stato lui a fare il primo passo avanti.
La seconda notte si era svegliata urlando, tormentata dai corpi senza vita, e la prima cosa che aveva sentito erano due salde braccia attorno a lei, che la stringevano abbastanza da impedirle di dimenarsi ed allertare gli altri.
— Sssh — le aveva sussurrato in un orecchio, accarezzandole il volto nonostante lei lo stesse tempestando di pugni ovunque riuscisse ad arrivare: — Va tutto bene, Isabelle. Va tutto bene, era soltanto finzione. —
L'aveva graffiato e graffiato, cercando solo un colpevole per tutto quello che era successo, per la sua vita che era stata ancora stravolta e calpestata, fino a quando aveva perso la forza di reagire ed era scoppiata a piangere, seppellendogli il volto nel petto muscoloso, coperto da una sottile maglietta nonostante fosse inverno.
In quel momento si era resa conto che Jonathan era davvero molto caldo, anche con tre gradi e la finestra spalancata sulla notte come un occhio cieco.
— Fa male. Fa così male. — Aveva sussurrato sommessamente, mentre sentiva le sue mani accarezzarle i capelli.
— Passerà. Passa sempre. — Non era stato particolarmente rassicurante, ma aveva aiutato. Aveva aiutato abbastanza da farla rilassare, dopo qualche minuto, fino a crollare addormentata.
Jonathan si morse le labbra: — Non hai toccato nemmeno le altre portate. Che ne dici se facciamo un boccone a testa? — chiese retoricamente, perché le aveva già sfilato il cucchiaino di mano e, dopo averlo riempito di nuovo, lo stava protendendo verso di lei: — Andiamo, nessuno può resistere al cioccolato!
Gli sorrise debolmente, come a scusarsi: — Non ho fame. Che ne dici di un ballo? — propose, cercando di fargli capire che no, non stava lentamente scivolando anche lei nel mondo dei morti. Aveva solo... solo bisogno di tempo per riprendersi.
Lo faceva sempre, alla fine. Doveva farlo.
Si alzarono insieme, avviandosi verso la pista da ballo. Riusciva a sentire gli sguardi degli altri invitati sulle sue scapole, sulla sua nuca, ovunque sul suo corpo.
Si chiese se fosse per la recente perdita di sua madre o perché il suo cavaliere era Jonathan Morgenstern. Alla fine sbuffò: era ovvio che la stessero guardando tutti per il suo fantastico vestito!
Era davvero bello, in effetti, sebbene fosse proprio quello il punto: per una volta, non era lei a far brillare l'abito, ma esso ad illuminarla. Non aveva la forza di risplendere da sola, non in quel momento.
— Isabelle... Forse questo sarebbe il momento giusto per confessarti una cosa... — le sussurrò il Nephilim da sopra la sua spalla.
— Cosa?
— Ecco... Non ho la più pallida idea di come si balli un lento. — bisbigliò lui in risposta, imbarazzato.
La ragazza si lasciò sfuggire una piccola risatina, attirandosi ancora qualche altro sguardo: — Sfortunatamente per noi, sono sempre stata un tipo da discoteca. Che ne dici di limitarci a dondolare in giro e sperare di farlo passare per un valzer?
— Dico che è un'ottima idea.
Solo a posteriori Isabelle si rese conto che Jonathan era un ballerino provetto, e che aveva messo su tutta quella farsa - e molte altre - solo per farla sorridere.
Rimasero ad oscillare sul posto in un angolo della sala per un bel po', e si resero conto che la musica era finita soltanto quando qualcuno alle loro spalle tossicchiò e li indicò, per di più nemmeno tanto discretamente.
Isabelle alzò gli occhi al cielo: — Tesoro, mi rendo conto di essere favolosa, ma al posto di mangiarmi con gli occhi, non potresti farmi una foto? Eviteresti di consumarmi, sai. — si lamentò, prendendo Jonathan per mano e riconducendolo al tavolo.
Okay, più che ricondurlo dovette trascinarlo, perché fosse stato per lui sarebbe morto dalle risate proprio nel punto in cui avevano tentato di ballare, a discapito della tizia che stava arrossendo con ventisei sfumature diverse dopo le sue parole.
— Idiota!
— Cioè, fammi capire, tu fai battute e la colpa è mia?!
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Shadowhunters - City of Marble
Fiksi PenggemarLa vera difficoltà non sta nel cambiare se stessi, ma nel riconoscere ciò che si è realmente e, soprattutto, nell'accettarlo. IN REVISIONE - CAPITOLI RISCRITTI 4/X (DA DEFINIRE), ATTENZIONE: molti di questi capitoli sono stati scritti davvero tanto...