3.

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In macchina, Stiles rimuginò su ciò che era appena successo.
Era passato si e no qualche minuto da quando aveva abbandonato Lydia con sua madre e ancora era fermo nel parcheggio dell'ospedale.

Guardò l'orario: le undici e mezza. Suo padre si sarebbe sicuramente preoccupato. Era a conoscenza di dove stesse andando, ma sapeva che l'orario delle visite non era infinito. Per non parlare del fatto che il moro si era preso una giornata di ferie, quindi non doveva nemmeno tornare in ufficio. L'unica cosa che gli rimaneva da fare era di tornare a casa. Già, quella grande e ancora vuota casa dove suo padre e sua figlia l'attendevano impaziente.
E con Allison? Come avrebbe fatto? Le domande erano sempre le stesse ma continuavano a torturarlo, non lasciandogli spazio per nessun'altro pensiero.

Si mise a tamburellare con i pollici il volante della sua inarrestabile Jeep, del quale si domandava ancora come potesse essere così affezionato a un catorcio che ancora reggeva, sebbene tutti questi anni.
Forse era così legato a quella macchina perché lo riportava ai giorni felici. Compresi quelli con Lydia. Si erano baciati così tante volte lì dentro, ed era stata anche la loro macchina per il matrimonio. Faceva davvero fatica a separarsene.

Quando si accorse che i suoi pollici tamburellavano sempre più velocemente il volante decise di fermarsi, per poi mettere in moto e cercare, per la milionesima volta, di non pensare a ciò che sarebbe potuto succedere domani, ma a ciò che può succedere oggi.

Accese la radio e partì. Non sapeva dove stesse andando: a casa non voleva tornare, forse perché sapeva che suo padre sarebbe rimasto seduto sulla poltrona ad aspettarlo anche fino a notte fonda, per poi fargli delle domande a cui lui non voleva rispondere. Però non sapeva neanche dove andare. Perciò si arrese e, in men che non si dica, si ritrovò davanti a quella che era casa sua.

Arrivò verso mezzanotte e, entrando in casa, si accorse del silenzio tombale che dominava. Nessuno era sveglio, per sua fortuna. L'unica cosa di cui aveva bisogno era di dormire, anche perché non aveva la forza di fare altro. Prima di addormentarsi, però, doveva assolutamente fare una cosa.

Entrò in quella che era la camera di Allison e la vide.
La bimba era immersa in un sonno profondo. A fianco c'era un altro pupazzo, dato che il suo preferito l'aveva lasciato su quella che, fino a qualche tempo fa, Stiles pensava fosse la tomba di sua moglie. Allison stringeva amorevolmente il cagnolino, mentre si rigirava nel letto. Il moro si mise in ginocchio e ammirò sua figlia, pensando a quanto fosse fortunato ad avere una creatura così innocente e stupenda. Suo padre aveva proprio ragione: i figli sono la cosa più bella del mondo, quella che ti fa sempre andare avanti in qualsiasi situazione.
La accarezzò dolcemente, toccando i suoi capelli rossi e morbidi, e sentì scendere una lacrima dal suo viso. L'asciugò velocemente, per poi dare il bacio della buonanotte ad Allison e uscire dalla stanza. Come chiuse la porta si trovò di nuovo nel buio contrastante che dominava nella sua vita fino a qualche tempo fa.
Si era promesso di non sentirsi più così, invece era dentro di nuovo.
Cercò di scacciare i pensieri dalla sua mente e si mise a letto, pensando di dormire. Ma la cosa non fu semplice. Più si rigirava nel letto in cerca di una posizione comoda, più restava sveglio, con la mente che lavorava e pensava a tante troppe cose assieme. Alla fine si ritrovò a fissare il soffitto, dopo aver visto l'ora sull'orologio: le quattro del mattino.

"Non può andare avanti così" pensò, e aveva ragione.

Mentre cercava di addormentarsi, sentì il cigolio della porta di camera sua. Allora si mise seduto velocemente e, poco dopo, si ritrovò davanti suo padre.

«Ehi, che succede?» mormorò Stiles.

Prima di rispondergli, l'ex sceriffo chiuse lentamente la porta e fece qualche passo avanti.

«Non ti ho sentito rientrare.» disse, per poi sedersi ai piedi del letto.

«A che ora sei tornato?»

«Verso mezzanotte, perché?»

Stiles leggeva negli occhi di suo padre che qualcosa lo turbava.

Suo padre sospirò. Sembrava essere tornato al liceo, come quando l'ex sceriffo veniva contattato dalla scuola per qualche cavolata fatta da Stiles.

«Dobbiamo parlare.»

Stiles odiava quelle due parole messe assieme. Sapeva che non portavano mai nulla di buono.
Si mise più comodo, cercando di sembrare disinvolto e non teso come una corda di violino.

«Ha chiamato la signora Martin stasera.» fece un attimo di pausa.

«Ti cercava.»

Stiles abbassò lo sguardo, cercando di mantenere il controllo del battito del suo cuore.

«Non mi ha voluto dire che cosa fosse successo in ospedale. Mi ha solamente detto che sei uscito di lì e sembravi un cadavere vivente. È molto preoccupata per te, Stiles.»

Il moro non si aspettava che la signora Martin chiamasse a casa. Probabilmente non aveva il suo numero ed era veramente preoccupata come sembrava essere. Allora perché si sentiva irritato da ciò che aveva fatto?

Sapeva che prima o poi avrebbe dovuto dire ciò che fosse successo quella sera, ma pensava di farlo l'indomani con calma. Invece no. Il momento giusto era ora, ma lui non riusciva a trovare le parole per spiegare ciò che stava vivendo.

«Cosa è successo?»

Il moro fece dei lunghi respiri, per poi alzare lo sguardo verso il padre.

Things left undone || StydiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora