19.

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Passò un mese. Esattamente un mese da quando Lydia uscì dall'ospedale e riprese a vivere.
La ragazza non tornò più la stessa di una volta. Non completamente, almeno. Certo, vedere finalmente il posto che la circondava fu una rinascita per Lydia: le strade, le case, gli edifici e perfino lo stesso ospedale le sembrarono più familiari con la luce del giorno e la città nel pieno caos della vita quotidiana. Per non parlare di quando arrivò a casa.
La madre di Lydia e il padre di Stiles si misero d'accordo che, per il momento, sarebbe stato meglio se fosse stata a casa con i suoi genitori: il padre, appresa la notizia strabiliante, tornò subito dal lungo viaggio appresso all'estero e decise di fermarsi tutto il tempo necessario per stare accanto alla sua unica figlia. Così la Banshee fece ritorno nella sua vecchia dimora.
Come mise piede in casa, quasi intimorita, iniziò ad avere tanti piccoli flash che iniziarono ad accumularsi nella sua mente. Immagini, frammenti, ricordi, storie della sua adolescenza. Tutte cose che prima non sapeva, che non provava e che non ricordava riaffiorarono velocemente, tanto da farla star male.

«Tesoro, tutto bene?» domandò sua madre, vedendola quasi accasciarsi a terra.

Lydia annuì, cercando di riprendersi immediatamente.

«Scusami, la testa. Mi fa male.» mormorò.

Natalie Martin sorrise a sua figlia, felice di apprendere ciò che Lydia stava dicendo.

«E' un buon segno, sai? Il dottore ha detto che è probabile che si verifichino forti emicrania: è dovuto alla tua mente. Probabilmente stai ricordando.» 

La donna cercò di stringere a sé Lydia, quasi come per proteggerla. La ragazza rimase immobile per qualche minuto, intenta ad osservare ciò che la circondava. Poi si disfò dal grembo materno e iniziò a vagare per la casa, quasi come una bambina curiosa in cerca di avventura. Fece passare ogni stanza, ogni corridoio, ogni centimetro, arrivando perfino in bagno. Poi, però, arrivò davanti ad una porta chiusa.
All'inizio, quasi volontariamente, toccò la porta: prima dolcemente, poi con più decisione. Arrivò alla maniglia, ma non l'aprì, anzi. Si girò verso sua madre e domandò con gli occhi, sebbene avesse già capito che stanza fosse.

«Quella è la tua camera.» mormorò. 

Girò la maniglia e si trovò al suo interno. Iniziò ad osservarla, sperando in qualche ricordo, ma niente. Così decise di non concentrarsi troppo: anche il dottore le aveva suggerito di non sforzarsi, poiché vi era una buona probabilità di far riaffiorare i ricordi. Ma con il tempo e la pazienza giusti.
Continuò a guardare camera sua, notando che, molto probabilmente, non era cambiata neanche un po' da come se la ricordava. Era bello rivedere qualcosa di familiare.

«Tutto è rimasto proprio com'era. Non abbiamo toccato niente: né quando sei andata al college, né quando sei...»

Ma non riuscì a finire la frase: il dolore di quei anni continuava a farsi sentire. Ma la donna si riprese subito con un bel sorriso, notando di avere gli occhi di Lydia addosso, che la fissavano.

«Ti lascio un po' sola. Vado a preparare la cena.» disse Natalie, socchiudendo la porta e osservandola ancora qualche minuto.

Lydia annuì e la ringraziò. Alla fine trovò tutto: i suoi peluche, i libri, i quaderni scritti, delle foto, i suoi vestiti e tanto altro. Si ritrovò ad osservare anche le foto e i disegni fatti probabilmente al liceo, ma che proprio non ricordava o non sapesse cosa fossero.
Decise di chiamare sua madre, che accorse velocemente. Forse fin troppo velocemente.

«Che succede?» domandò, preoccupata.

Lydia la rassicurò facendole vedere che stava bene e che non era successo nulla di grave.

«In questi anni avete cambiato qualcosa?» domandò.

Sua madre la guardò con aria interrogativa e allo stesso tempo triste.

Things left undone || StydiaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora