Capitolo 13.

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- E tu chi sei? - il ragazzo alzò lo sguardo, che prima era rivolto verso il basso perso nei suoi pensieri, su di me e sobbalzò per la sorpresa.
Forse non si aspettava di essere "disturbato" da qualcuno, forse ero stata un po' aggressiva. Si alzò in tutta la sua bellezza, perché lo ammetto era davvero un bel ragazzo, alto si e no un metro e ottanta, con un fisico asciutto e abbastanza muscoloso - classico palestrato - capelli castano scuro e ricci, occhi verdi che avevano tutta una storia dietro, guance paffutelle che lo facevano risultare un bambino nonostante si vedesse quanto adulto fosse; portava dei jeans, una polo bianca che metteva in risalto i pettorali ed i pochi tatuaggi che aveva sulle braccia. Porse la mano e si presentò: - Mi chiamo Gianluca. Gianluca Maggi. Non pensavo che altre persone conoscessero questo posto... -
- Valentina Evans. Neanche io lo pensavo, ma tranquillo siamo gli unici. - senza aggiungere l'altra persona che ormai non faceva più parte della mia vita.
- Stavi piangendo.. Chi ti ha fatto questo?? Chi ha osato distruggere il tuo animo il dolce viso che possiedi piccola fanciulla? - che lingua stava parlando?? Siamo nel ventunesimo, non so se, se ne rendeva conto..
- stai cercando di rimorchiare? - ero al quanto divertita da tutto ciò. Insomma, quando speri di poter stare da sola, nel tuo angolino per deprimerti e ripensare a quanto la vita faccia pena, incontri un ragazzo bello da far schifo che ti si presenta e ti chiede con un tono ed una cadenza medievale cosa ti sia successo.. Cosa puoi pensare se non che ci stia provando??
- Cosa? No! Non sei il mio tipo, senza offesa. Sto cercando.. Di capire.. -
- Ooh.. Sei gay, chiaro. - scoppiò in una fragorosa risata.
- Oh Dio no! Semplicemente sei troppo.. Piccolina e beh.. Io non. Ehm.. Cioè hai capito. -
- A dire il vero no. Ma non m'interessa, so di essere " piccola "... Ne ho pagate le conseguenze a mie spese. - m' incupì all'improvviso, tutto mi faceva pensare a.. Lui.
- Cosa..? - era confuso.
- Nulla lascia stare - risposi facendo un piccolo sorriso - allora.. Che ci fai in questo posto sperduto? -
- Penso. Alla vita, la mia vita. A mia madre, una donna sola che non merita tutta la sofferenza che l'attanaglia. All'amore.. che non ricevo ormai da troppo tempo. Agli amici che non ho più. Ma soprattutto alla persona che hanno tolto, strappato oso dire, alla mia famiglia quando ancora ero troppo piccolo per capire. Sai sono costantemente circondato da persone, eppure, mi sento sempre solo. - girò il suo volto verso di me, seduta sull'erba alta, incastrò i suoi occhi nei miei e mi sentì in un certo senso parte di lui.. Come se già ci conoscessimo, come se avessimo avuto un legame in passato; e quegli occhi che raccontavano così tanto stavano scavando nei miei alla ricerca di qualche risposta che però, non penso arrivò.
- Capisco. Quanti anni hai? -
- Ventitré, tu? -
- diciassette.. - per un attimo, solo un attimo, gli brillarono gli occhi e mi guardò come se quella risposta che cercava fosse arrivata, ma poi si riprese subito.
- Già lo immaginavo. Nonostante la tua tenera età sembra che tu ne abbia passate tante. I tuoi occhi e l'espressione che emanano.. Il tuo volto stanco e le spalle ricurve lo dicono.. Il tuo corpo parla. -
- È strano come un perfetto sconosciuto riesca a capirti e.. Comprenderti, come nessuno fa. E fa male sapere che un estraneo è più capace di un familiare o, che so.. -
- Penso che a volte, le persone di cui tu ti possa fidare di più sono proprio quelle che non conosci. Sono quelle che devi ancora scoprire, tuttavia, sono capaci di guardarti e leggerti come nessuno abbia mai fatto. -
- Si. Credo tu abbia ragione. In fondo. - gli sorrisi pensando a quanto, visto solo esternamente, questo ragazzo possa sembrare apatico e freddo.. Quasi quanto me. - Grazie. -
- E di cosa scusa? -
- In qualche modo, sei riuscito a farmi sorridere. E fidati, che per una come me, vuol dire tanto. Ora devo andare. -
- Sono contento allora, di essere stato la causa di un tuo sorriso, ma hey! Io non ti ho fatto alcuna domanda, non è giusto. Non hai nemmeno risposto alla prima. -
- Se il destino ci farà rincontrare ti risponderò e potrai farmi delle domande. -
- Allora spero di rincontrati Valentina. -
annuì semplicemente sentendosi a disagio.. Avevo quasi intenzione di chiedergli se volesse seguirmi; sentivo, anzi, sapevo che era un ragazzo solo e mi dispiaceva.. dopotutto, eravamo simili più di quanto potessi immaginare.
Arrivai a casa di Mike che ormai era buio; aprì la porta e sentì solo la TV nel salotto accesa tutto il resto era silenzioso, buio e angosciante.
Accesi la luce e mi spaventai trovando la figura di Mike che guardava il vuoto.
- Mike. Mike che succede?! - lo sguardo che mi rivolse era tutt'altro che sollevato.
- Mi ha chiamato la scuola. - oh merda.. - mi hanno detto che non eri a scuola. Di nuovo. Non m'interessa neanche sapere dove sei stata, dovevi solo andare a scuola e fare il tuo cazzo di dovere. Andare in una cazzo di scuola! Sono stanco di doverti stare sempre dietro, stanco che ogni volta devo farti IO da genitore, stanco delle tue cazzo di paranoie! - ormai avevo le lacrime che scendevano a fiotti, la mano davanti alla bocca per la sorpresa delle parole dure che stava usando. Vidi Emma arrivare dal corridoio di corsa.
- Voglio che tu te ne vada. - una pugnalata. -
- C-cosa..? -
- Hai due genitori e da adesso starai con loro. Io non ce la faccio più. Tutto questo è troppo e io due figli a cui badare li ho già, non ho bisogno di altri problemi. - un'altra pugnalata.
- sei solo un ipocrita! Ti credevo mio fratello. Il mio migliore amico! Adesso divento il nemico per te? Un problema?? Allora considerati nessuno se pensi questo di me! - Uno schiaffo mi arrivò in pieno viso lasciandomi di stucco. Ultima pugnalata.
Andai in camera, preparai in una valigia tutti i vestiti necessari e un borsone dove mettere computer, caricabatterie del cellulare e del computer, cuffie , libri e cianfrusaglie varie, percorsi il corridoio e andai nella cameretta di Asia e Jason, li baciai e poi uscì da quella casa, con l'immagine di mio fratello che piangeva come un bambino guardandosi la mano con cui mi aveva colpito. Aveva sbagliato e lo aveva capito tardi. Mi aveva persa e lo sapeva.

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