Capitolo 4: Due Mesi Prima

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Il ferro di cui era fatta la panchina era gelido, eppure quel giorno d'ottobre faceva discretamente caldo.
Edgar aspettava impaziente seduto, le gambe tremavano furiosamente.
Era la seconda volta che vedeva il suo migliore amico, nonostante fosse lontano molti chilometri, sembrava l'unico che lo capisse davvero, che lo apprezzasse per quel che era.
Il telefono di Edgar iniziò a vibrare: era David.
<<Hey Dav, dimmi, dove sei?>> rispose Edgar.
<<Ti vedo, resta fermo e ti raggiungo!>> esclamò il ragazzo dall'altra parte.
La visita guidata di 3 giorni a New York era stata una manna dal cielo.
Thomas, un compagno di classe, l'aveva aiutato a uscire dall'albergo nonostante fosse orario di coprifuoco. Si sarebbe inventato una scusa, magari un mal di pancia molto forte.
Edgar si alzò dalla panchina e si guardò intorno:
Eccolo lì, David si avvicinava a lui con passo felpato, e un enorme sorriso stampato in faccia.
Edgar corse verso di lui, l'altro ragazzo fece altrettanto, e all'impatto dei loro corpi si abbracciarono.
<<Sono qui, sono qui, va tutto bene, ci sono, sono qui...>> continuò così sussurrando Edgar.
Aveva buoni motivi per doverlo consolare.
David era stato lasciato pochi giorni prima dalla sua ragazza, il suo primo amore, con la quale aveva condiviso molte cose: le prime esperienze, le passeggiate al tramonto fra le strade di New York...
Dopo il lungo abbraccio, appena si staccarono, Edgar poggiò dolcemente le mani tra quelle di David.
Era il loro modo di professare il loro affetto.
<<Andiamo dai, facciamo un giro>> propose Edgar.
Central Park era quasi del tutto buia, a momenti i lampioni sarebbero stati accesi illuminando i sentieri acciottolati.
<<Sei importante per me, lo sai...>> iniziò Edgar.
<<Anche tu lo sei... sei il mio migliore amico e non ho bisogno di nessun altro per essere felice, basti tu>> rispose David, gli occhi lucidi.
Edgar sorrise e prese nuovamente la mano dell'altro ragazzo, intrecciando le dita alle sue.
<<Ti voglio bene>>.
<<Anche io>>.
Scambiarono un altro bacio, e dopo una mezz'ora di camminata, si sedettero su una panchina, uno di fronte all'altro.
<<So che sono frasi che mille altri ti avranno già detto... ma alla fine ci ha perso lei. Tutti sanno che persona fantastica sei tu, e lei era solo una stronza>> consolò Edgar.
Si guardarono negli occhi, fissandosi per un po'. L'aria si tagliava col coltello, David stava davvero male, sembrava sul punto di piangere.
<<Non mi importa ciò che mi dicono gli altri, nessuna frase e nessun gesto può avere tanto valore se non proviene da te...>> sussurrò David. Nonostante sembrasse smielato, Edgar sapeva che quella era la verità.
Edgar gli sorrise, nessuno mai gli avrebbe detto quelle parole.
<<Sai Edgar... sto conoscendo un paio di ragazzi... così giusto per levarmi dalla mente quella Troia>> spiegò David. La sua bisessualità non era una novità.
Edgar stroncò il sorriso e lo guardò attentamente:
<<Qualcuno che conosco anche io?>> chiese dolcemente.
<<No, ehm... li ho conosciuti in ambiti diversi...>> David era estremamente imbarazzato.
Edgar divenne serio d'un tratto, e lo guardò di sottecchi.
<<Mmh, stai tranquillo, davvero... sono settimane che ci parlo, voglio tastare il terreno prima di buttarmici a capofitto. Non te l'ho detto da subito per paura del tuo giudizio...>> spiegò David.
<<Sai che non approvo molto... ma tu sei libero di fare ciò che senti. Se reputi siano ottime persone, il resto è tutto da vedere>> disse Edgar con una vena di preoccupazione nella sua voce.
I due ripresero a passeggiare, parlando del più e del meno. Fattesi le 22, Edgar dovette ritirarsi.
Entrambi si abbracciarono calorosamente, sussurrandosi quanto si volessero bene e quanto avessero bisogno l'un l'altro per essere felici. Si baciarono un'ultima volta poi Edgar disse: <<Ci rivediamo prestissimo, ok?>>.
David annuì sorridendo e andò via verso la metropolitana, voltandosi indietro alle sue spalle, mandando sguardi al suo migliore amico.
Edgar invece, attraversò varie strade per dirigersi all'albergo in cui alloggiava temporaneamente con la classe.
Durante il ritorno pensò alla nuova situazione che si stava creando: in un certo senso, sentiva quasi di invidiare David.
Non era invidia pura, e maligna, ma David era sempre stato una persona fantastica, un ottimo amico per chiunque, buono, con i modi gentili e spiritosi, capaci di conquistare chiunque.
"Ed io invece? Cosa sono? Non sono niente, proprio niente" pensò fra se e se Edgar.
Da pochissimo era uscito da una relazione travagliata con un ragazzo,  dopo mesi di litigate, era stato breve il tempo in cui erano stati insieme, se si può definire così.
<<Odio quando ti autocommiseri e fai la vittima, sono lati di te che mi annoiano.>> gli ripeteva spesso l'altro, e ogni volta per Edgar era un colpo al cuore.
La sua unica opportunità bruciata così, come se nulla fosse.
Tutti erano riusciti ad andare avanti, tutti avevano trovato già qualcuno con cui essere felici, con cui stare bene... ma lui, no, lui sembrava che nessuno, tranne David, lo accettasse.
Edgar sospirò pesantemente.
Quando raggiunse l'hotel, trovò seduto su una poltrona della hall Matt, un suo compagno di classe nonché "amico".
Messaggiava al telefono con qualcuno, ammiccando un sorriso.
<<Hey Matt, buonasera>> disse dolcemente Edgar.
<<Ciao.>> rispose freddamente Matt.
<<Sali con me?>> chiese Edgar.
<<No. Vattene, io vengo dopo.>> disse ancora freddo.
"Eccone un altro che non ha mai capito come sono fatto davvero..." pensò Edgar tristemente, e prese posto in ascensore, cliccando al quarto piano.

Tempo dopo, Edgar venne a conoscenza che anche una persona fredda, acida e malefica come Matt, aveva trovato qualcuno capace di renderlo felice, qualcuno che lo avrebbe amato sopra ogni cosa. Da quel momento, Edgar si sentì moralmente abbattuto. In quei due mesi prima di diventare una cavia, non fece altro che pensare a cosa lui avesse di sbagliato, il perché mai qualcuno con un carattere improponibile riuscisse comunque a essere felice, mentre lui era costretto a ritrovarsi mille passi indietro rispetto a tutti.
Stava male, davvero tanto, ma ovviamente, quello che sarebbe accaduto dopo, sarebbe stato imparagonabile.

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