Memorie di luna

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Lasciate che vi racconti di quando la luna si perse nella vastità del mare, di quando lasciò il cielo e le stelle per calarsi nella notte profonda, appesa ad un filo.

Lo strappò alla tela dell'universo, che un ragno senza nome aveva tessuto al germogliare del tempo per tenere uniti i mondi, e vi si aggrappò tanto forte da sentire le proprie mani per la prima volta, fredde e tremanti.

Scalciò nell'aria, certa che non avrebbe fatto male a nessuno, e percepì la presenza delle proprie gambe, pulsanti di vita.

Sospinta dal vento, di cui mai prima d'allora avrebbe riconosciuto il tocco, prese così a dondolare,
cessò di agitarsi,
e aprì gli occhi.

Quel che vide all'inizio fu un posto vuoto, un angolo scuro in mezzo al biancore latteo delle miriadi di galassie che s'intrecciavano senza sosta, il posto che le spettava, e da cui rischiarava abitualmente il buio.

Più su, invece, perso e confuso nell'immensità del nulla, scorse il tetto del firmamento, che aveva sempre torreggiato su di lei e che per lei non c'era mai stato.

Silenziosa, stupita, osservò le costellazioni come le osservavano i marinai, chiedendosi dove mai fosse diretta; allungò un dito davanti a sé, verso il fulgore degli astri, come aveva visto fare ai bambini, e cercò, inutilmente, di dare un nome a tutti loro, mentre pian piano scendeva.

Si ritrovò sospesa a pochi centimetri di distanza dall'acqua, così vicina da riuscire a sentire sul proprio viso gli spruzzi giocosi delle sirene, e presto fu attorniata da migliaia di creature senza volto né corpo.

Nuotavano nell'etere, tracciando rotte non ancora scoperte, che puntavano in ogni direzione immaginabile, e parlavano, ridevano, cantavano, bofonchiavano... tutte assieme, ognuna con una voce differente, difficile da distinguere, talmente attutita e lontana che era facile credere provenisse da un'altra dimensione.

Erano leggiadre, senza peso, di un candore che sapeva di grandine e nevischio, erano anime libere e inafferrabili, più di quanto lo fossero i pesci, più di quanto potesse esserlo il bagliore morente di una cometa.

Ma erano vive.

Erano storie.

Udì i sussurri dei giganti,
il fruscio degli alberi,
il lamento della terra,
le poesie intonate dai grilli,
il ticchettio del tempo,
il timido sbocciare dei fiori di campo,
la carta piegata dai desideri dei bambini,
battaglie,
feste,
banchetti...
ogni cosa.

E s'innamorò perdutamente, e avvertì il proprio cuore spezzarsi e ricomporsi a ritmo di una musica che solo lei poteva sentire.

Seguì la scia di briciole di pane che una di queste storie stava abbandonando alle proprie spalle, e fu in grado di distinguere le limpide movenze di un sogno disegnate dalla schiuma delle onde.

Lo guardò prima volare in alto, più di quanto la sua luce fosse mai arrivata, e poi tuffarsi senza paura oltre la linea dell'orizzonte,
lontano dagli occhi.

Fu improvvisamente sola,
sola tra tutte le storie e tutti i sogni che l'avvolgevano,
sola nella sua meraviglia,
sola nella sua incapacità di contenere e comprendere quanto l'aveva vista partecipe,
sola, con l'affanno del suo cuore ed un cervello petulante.

E allora pianse.

Pianse piano, senza far rumore, timorosa, ché ancora non sapeva di cosa fossero fatte le lacrime.

Pianse gli anni che aveva trascorso a guardare nella stessa direzione,
pianse l'arte che aveva ispirato,
pianse gli sguardi che gli innamorati le avevano rivolto,
pianse tutti i sorrisi e le risate che aveva ascoltato, gioie antiche come il tempo, e che mai le erano appartenute.

Poi il filo si spezzò, pesante delle sue lacrime, e la superficie dell'acqua si infranse, con un sordo gorgoglio come d'un gigante che parlasse nell'antro buio di una grotta.

Affondava, senza fretta e, più s'immergeva, più intenso era il profumo che le riempiva i polmoni -odore di salsedine e sabbia-, finché non fu certa che mai l'avrebbe dimenticato, che sarebbe sempre stata in grado di richiamarlo a sé quando avesse voluto, che le aveva marchiato la pelle e la memoria in maniera indelebile, irreversibile.

Lì la sua luce si spandeva come inchiostro.

Densa, corposa, malleabile... rincorreva i pesci, s'insinuava tra le alghe e i coralli, disfacendosi in morbidi flussi di energia.

Man mano che gli abissi la inghiottivano, le venivano meno i concetti primordiali: non c'erano minuti da contare, né sete, né fame, e vita e morte non erano che futili parole.

Percepì la gola stringersi, schiuse le labbra e, fragile come il respiro, Tutto le riempì lo spirito, trascinando dietro di sé ogni cosa che lei avesse conosciuto fino a quel momento.

Le solleticò la lingua -era dolce e aspro, come un'arancia matura-, poi le scivolò fin nello stomaco,
le s'insinuò nelle vene,
arrivò al cuore,
e nutrì il suo ultimo battito.

Quando sollevò gli occhi per l'ultima volta, il suo primo pensiero fu che la luna, lassù, era davvero bellissima.

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