Lettera

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28 Dicembre, 1889

"E sii come il faro
In mezzo alla vasta piana del mare
Unica lucciola
In quest'immenso sciame di zanzare"

Una volta conobbi una bambina, sai?
Sua madre voleva a tutti i costi che lei divenisse un'adorabile bomboniera, sempre ritta e coi capelli in ordine. Lo voleva sua madre, sì, ma lei non più di tutti gli altri.
Il viso pulito, le trecce delicatamente posate sulle spalle esili -due farfalle su petali di zagare-, la gonna senza piega alcuna e le scarpette linde: questo ci si aspettava dalla bambina. E lei si sforzava, ogni giorno, di camminare in maniera impeccabile, di non far cadere i libri che le venivano adagiati sul capo, di mettere un piede perfettamente davanti all'altro, di protendere il mento verso l'alto e non giocare con le formiche che la chiamavano dabbasso, arrampicandosi fin sotto il portico dove lei usava esercitarsi.
Mai chinare lo sguardo, mai poggiare i talloni.
«A che ti servirebbe? Tanto i tacchi non te lo permettono comunque.»
Potevi vederla, tutti i giorni, fendere in due il bel giardino sul retro della casa, in punta di piedi, fino alla quercia e ritorno. Se allargava le braccia per non rischiare di perdere l'equilibrio, sua madre -o qualcun altro per lei- le calava la pesante bacchetta di legno prima su una mano e poi sull'altra. I segni non si vedevano sotto ai guanti di seta, e i piedi gonfi erano sempre cinti da stretti sandali da ballerina, ma lo schiocco della pelle percossa non era altrettanto eludibile, e le rondini, spaventate, volavano altrove anche quando, magari, si era in pieno agosto.
Un pomeriggio di primavera, dopo aver toccato la quercia e averle rivolto le spalle, la bambina giunse dinnanzi alla veranda che era già una giovane donna, con una lieve lordosi lombare per via del portamento che le era stato efficacemente impartito, ma pur sempre graziosa. E poi, anche al tempo, erano di gran moda tournure e corsetti, che mozzavano il fiato a giovani e vecchie, ma che, in compenso, raddrizzavano o nascondevano qualunque tipo di difetto. Per non parlare di tutto quel tulle, sotto al quale persino le ulcere dell'anima non erano più visibili di una singola efelide sulla punta del naso.
Sua madre la prese per le mani, ricordo, raggiante come il sole, e mentre la ragazza sorrideva, la condusse dentro casa. Lì, nel salotto illuminato dal caldo tramonto di inizio maggio, tutto il paese la sbirciava entrare, fremente d'aspettative. Un applauso fragoroso esplose al suo ingresso, regale e inappuntabile come quello d'una principessa.
Le altre ragazze le si strinsero attorno, ammirate, e presero a carezzarle il viso, le belle spalle nude, i capelli intrecciati e costellati di fiori appena colti; si profusero in mille complimenti circa il suo splendido abito turchese, senza dimenticare di ricordarle quanti giovani, fuori la porta, l'avessero attesa, tutto quel tempo, come si attende il pane al banco del fornaio.
La madre, abbracciata al marito con un abbandono tale da suggerire che in lui solo risiedessero i suoi spiriti vitali, piangeva di incontenibile gioia nel guardare la figlia venire trascinata verso il cortile davanti dall'orda di altre fanciulle, che non si staccavano dalla ragazza neppure di un millimetro, dando così l'impressione di fondersi tutte, con lei, in un'unica grande e vaporosa bambola.
Conobbi una bambina, una volta, sai?
E quel giorno, dico, quel giorno, non la riconobbi più.
Con le sue scarpe su misura calpestava le formiche sotto al portico.
Quei libri che reggeva in bilico sulla testa li aveva letti, in passato, e ora non ricordava più che cosa raccontassero.
I fiori che sua madre le aveva messo fra i capelli emanavano un odore dolciastro, mentre appassivano.
Le sue gote non avevano più la benché minima ombra del fango con cui aveva amato giocare, molto tempo prima.
Nel momento in cui mi passò accanto, sollevò leggermente la gonna, in modo da camminare più svelta, e allora potei sentire i suoi sogni, sì, annegare in quel pizzo blu come il mare.
Qualcuno cominciò a suonare, in strada, al che la festa si spostò tutta all'esterno. Solo io e pochi altri rimanemmo fermi a guardare, a osservare: uno per uno, gli abitanti del paese sfilarono davanti ai nostri occhi, i menti protesi, tutti così abituati a guardare il mondo dall'alto in basso, che non ricordavano più di che colore fosse il cielo.
Fui l'ultima a lasciare la casa, se non ricordo male.
Piansi a lungo.
Perché, mi chiedi?
Ma perché anche in tempi di pace l'ennesima bambina era morta.
Ti sarebbe piaciuta, scommetto. Quando la conobbi, era dolce e gentile, con il passo pesante di un allegro gigante.
Le conservo tutte, ognuna di loro. Serbo il loro ricordo nel mio cuore, perché è l'unico posto in cui continuano a giocare, con quegli altri bambini che sono diventati gentiluomini e poi bancari.
Rotolano insieme nella terra fertile della mia memoria, per dar vita alle storie che leggi.

Con amore,
La Scrittrice

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