Serpente Corallo

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C'era un'ombra nel buio, più nera del nero.
Scivolava, femminea e silenziosa, nel labirinto di nomi che sorgevano dalla terra, mescendo la propria voce al fruscio delle frasche.

«Cinque Timmy, tre Marilou, otto Smith... »

Sospese nell'aria gelida di ottobre, piccole nuvole bianche le mordevano il naso, ogni qual volta un nome lasciava le sue labbra, come se il solo pronunciarlo potesse rievocare lo spirito di chi l'aveva portato. L'aria, ovunque, era talmente umida che non l'avrebbe sorpresa scoprire di essere capitata dentro a un acquario, né volgere lo sguardo al proprio fianco per scorgere un banco di pesci nuotare nell'aria. Soltanto un'ora era trascorsa da quando aveva smesso di piovere, ma il cielo non si era ancora schiarito, e il buio era tale da far dubitare che si fosse ancora alle ultime ore del pomeriggio. Le galosce, che chissà quanti anni prima dovevano essere state di un abbagliante giallo limone, sprofondavano soddisfatte nel tenero ciarpame composto di fango e foglie morte. Squittivano, di quando in quando, ma solo se sfregavano l'una contro l'altra, gomma contro gomma.
Era felice che i suoi compagni di scuola non le avessero riempite anche quel giorno di uova in salamoia e altre schifezze.

«Dodici John, quattro Hannah, sette Philip... »

Si ricordò appena in tempo di quel ramo di tiglio che sporgeva più magro e più scuro degli altri, come il dito di Dio nella Creazione di Adamo, e chinò il capo, affondando il volto nel collo dell'impermeabile. Quando vi passò sotto, sentì grosse e tonde gocce d'acqua tamburellarle sul cappuccio. Dubitò si trattasse di una benedizione.

Poco più in là rispetto a dove ora si trovava, quel che ancora era visibile del sentiero declinava dolcemente in direzione dell'ingresso principale. Da quell'altezza, seppur esigua, l'alta cancellata di ferro battuto era molto meno raccapricciante di quanto le apparisse poco prima del sorgere del sole, quando le toccava risalire la collina per varcarne la soglia. Allora, liquefatte dalle luci di Orpheus Street, le sbarre sembravano aprirsi lentamente di fronte a lei in un ghigno immondo e famelico, come pronte per inghiottirla (...di nuovo, aggiungeva sempre una vocina nella sua testa.) Adesso però, dall'altra parte del cancello, dove il chiarore dei lampioni non arrivava, le sbarre non si distinguevano neppure. C'erano solo le guglie, smussate e tozze, come le zampette di un insetto.

«Sei Abigail, dieci George, una Madeleine... »

Si fermò, gli orli del pastrano che si riassestavano e tornavano immobili contro i suoi fianchi, pesanti come se si fosse riempita le tasche di sassi. Non udiva più niente al di fuori del suo cuore, che scalpitava e si gettava sulle sue costole come per uscirne. Fu talmente colpita dalla chiarezza di quel suono, che abbassò gli occhi per controllare che non le avesse già squarciato il petto. Solo allora si accorse della nebbia: le si era avvolta stretta stretta attorno ai piedi, e ora non li vedeva quasi più. Ebbe come l'impressione che tutto il tempo del mondo fosse stato improvvisamente lavato via, non tanto dissimile da un graffito battuto dalla pioggia. Anche il vento era cessato, caduto, un uccello con le ali spezzate. Poi, come le tende di un sipario, la nebbia si disperse serpeggiando alla sua destra, rivelando qualcosa che le sembrò semplicemente offrirlesi dinanzi agli occhi, come apparsa dal nulla, o rimasta volontariamente nell'ombra, fino al momento opportuno.

Agli angoli, la targa era ormai stata divorata completamente dalla ruggine, che al pari d'un morbo avrebbe seguitato a espandersi, con la stessa ineluttabilità delle stagioni. Tuttavia, l'iscrizione era ancora leggibile, immune persino alla morsa dell'edera e, anzi, sembrava essere incisa, adesso, più profondamente di quanto doveva esserlo stata nel secondo dei due giorni su di essa riportati.

Madeleine Thompson

16 Dicembre 1815 - 29 Maggio 1831

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