Voi che per il core

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Mi fa male il cuore.

È un martellare di spiriti,
di mani invisibili che
bussano, dentro una stanza vuota
dell'albergo mio che ho in petto.

Vorrebbero uscire,
non sono per lor le ossa, la carne,
la vena pulsante.
Vorrebbero solo trovare
la via che porta fuori,
al di là dei dolori, dei rumori,
trovare in gola la porta,
la maniglia pronta,
ma c'è una bestia d'aria,
un colosso di fiato pesante, annaspante,
soffocante
a fermare il passo.

Allora spingon più forte
le spalle contro le pareti,
le dita in mezzo ai cardini,
prigionieri.
Eppur la pelle è tela di ragno
che fragile pare e ancora resiste
al tuono, all'uomo.

Non si strappano i tendini,
non si sfibrano i muscoli.

Sicché scavano giù,
questa la risoluzione.
Strisciano,
nelle tubature della coscienza,
là dove il pensiero si imbratta,
la ragione perde la presa.
È la strada che per l'anima conduce agli occhi,
quella che lo stomaco è sosta obbligata,
taverna in cui scatenar tempesta,
ché la sete di libertà la si spegne col boccale,
la si zittisce con strepito da baccanale,
e par che anche la bile voglia risalire
insieme con i fantasmi
verso il viso, finestra sul mondo
infin che vino non scaturisce
ma acqua.

Ma cos'è la rosa senza la farfalla,
l'abito senza la sposa,
il prato senza la pioggia,
il camino senza la fiamma?

Una cornice che foto non ha
è solo uno specchio rotto.

Così di queste lacrime
io cosa me ne faccio?
Quando gridano
il tuo nome.

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