Ci voleva proprio.

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CI VOLEVA PROPRIO.

Ti voglio bene Meredith.

l riccio si ferma davanti ad una porta. Si volta a guardarmi con un ghigno in faccia. Cosa c’è dietro a quella porta? Perché sembra così soddisfatto? Questo ragazzo m’inquieta, non riesco a capirlo come vorrei. In questo momento però, l’unica cosa che voglio è che apra quella maledetta porta perché il dubbio mi sta lacerando le viscere. Un luccichio gli passa negli occhi verdi. Lo vedo chiaramente. E poi spinge la porta, svelando una stanza. Che forse, non è il peggio che potessi vedere.

Con le catene mi sospinge all’interno della stanza.

“Aspettami qui. Non toccare nulla.” Dice, per poi far apparire nuovamente il lampo nero. E come per magia, le catene si dissolvono nel nulla. Quasi inconsciamente porto le mani a massaggiarmi il collo e i polsi, dove probabilmente mi hanno lasciato qualche livido. Sento la porta sbattere dietro di me e mi volto di scatto. Il riccio non c’è più. Il rumore della serratura che scatta è seguito dal riecheggiare di passi nel corridoio. Chissà dove sta andando. Non appena ogni rumore cessa, mi precipito alla porta, per cercare di aprirla, ma rimane ermeticamente chiusa. Sospiro, ormai rassegnato a rimanere chissà per quanto in questa stanza. Mi volto nuovamente guardandomi in giro.

L’enorme baldacchino dai tendaggi neri e le fodere di un rosso cupo attrae l’occhio con la sua imponenza. Su una parete vi è appeso uno specchio e un tavolo con una sedia sono addossati all’angolo. Una televisione ultramoderna è attaccata alla parete, occupandone la gran parte, proprio davanti al baldacchino. Dev’essergli costata un botto di soldi. Una porta conduce chissà dove. È chiusa. I ghirigori che adornano le pareti non sono delle migliori. Sembra rappresentino figure diaboliche, intrise nel sangue. Una grossa portafinestra è chiusa, ma lascia vedere il paesaggio esterno. La portafinestra dà su un balcone piuttosto ampio. Rimango stupito quando noto che non c’è nessuna maniglia. La vista è a dir poco splendida. Sta albeggiando e il chiarore rosato si riflette sulle chiome degli alberi, dandogli un’aura aranciata quasi magica. Scopro con meraviglia che questo palazzo sembra circondato da alberi. Sono ovunque, formando una distesa infinita. Appoggio la fronte e le mani al vetro freddo della portafinestra, come per essere ancora più vicino a quella meraviglia. Penso di starci un’infinità di tempo così. Forse addirittura ore. Quando poi un pensiero mi fulmina. Portafinestra. Vetro. Rotto. Libertà. Il mio volto s’accende di un sorriso quando quelle parole trovano una connessione nella mia testa. Mi volto repentinamente e con lo sguardo cerco attentamente qualcosa di abbastanza forte da poter rompere quel vetro. Il mio sguardo si posa finalmente sulla sedia. Sì, dovrebbe bastare.

Con un sorrisetto vittorioso la prendo in mano, alzandola sopra la testa. È in metallo, meglio di quel che pensassi. Mi avvicino alla porta finestra e respiro profondamente. Devo agire in fretta, quindi appena rompo il vetro devo sapere dove andare prima che quello mi raggiunga. Valuto più o meno l’altezza dal suolo. Saranno un tre, quattro metri circa. Se cado illeso vuol dire che qualcuno ha guardato giù. Ma devo farlo. Per Meredith.

Carico con potenza il colpo, e poi con tutta la forza che ho lo sbatto contro il vetro. Sto arrivando piccola. Sento il fracasso del metallo contro il vetro, poi un boato. Un lampo nero scaturisce dal punto di collisione e mi colpisce indietro. Il colpo mi spedisce dall’altra parte della stanza. Sbatto contro la parete e cado a terra con un tonfo. Miracolosamente sono ancora vivo. Mi fa male tutto, ma devo scappare, mi alzo in piedi e mi getto verso il balcone. Mi fermo ad appena un centimetro da esso, fissando sgomento davanti a me.

Il vetro è ancora li, al suo posto, intatto. Non un segno, non una crepatura. Niente. Sembra quasi più forte di prima, ma forse è solo una mia illusione. Guardo a terra e rimango ancora più sconvolto. La sedia è li. O almeno, quel che ne resta. Perché dove dovrebbe essere ora quell’oggetto fatto per sedersi, chiamato comunemente sedia, c’è un grumo di metallo fuso, che pian piano sta svanendo nel nulla. Quando realizzo quello che è accaduto, crollo a terra. Mi prendo la testa tra le mani e mi abbandono allo sconforto.

Harry Pov

Uno due tre. Uno due tre. I miei passi rimbombano per i corridoi e s’intrecciano formando una cantilena nella mia testa. Uno due tre. Uno due tre. Uno due tre. Sento la gola iniziare a farsi secca. Ho bisogno di bere. Al più presto. Dopo potrò occuparmi di Liam. E finalmente mi dedicherò a quell’altro. M’ispira. Con la sua pelle bianca come il latte, le labbra fini e gli occhi azzurro ghiaccio. E poi, naturalmente, quella sua aria da duro che sarà molto divertente sottomettere. Pensa di riuscire a tenermi testa. Ridacchio divertito. Sciocco. Uno due tre. Uno due tre. Scendo le scale. Più scendo e più dovrebbe fare freddo. Io non sento il freddo. Nessuno di Noi lo sente. Ma quegli stupidi umani sì. Raggiungo le celle. Tendo la mano. Un formicolio al centro del palmo e poi da esso scaturisce il lampo. All’istante la cella davanti a me si apre. È buio dentro. Ma Noi non abbiamo bisogno di luce. Mi chiudo la porta alle spalle con uno sguardo e poi mi volto. L’oscurità è densa. Lui si sta nascondendo. Sto appena un secondo in attesa e poi percepisco la sua paura. È come un tanfo dolciastro che proviene dal suo stesso essere. Seguo la scia di lezzo e identifico il punto. Poi scatto. In un millesimo di secondo sono davanti a lui. Neanche se ne accorge. Quando però gli artiglio il collo la sua paura raggiunge un livello improponibile. E io mi beo della sensazione di averlo in pugno. Sento che vorrebbe gridare, ma non può. Ridacchio. Lo sollevo dal terreno. Si dimena.

“Eh no.” Sussurro suadente al suo orecchio. Scendo piano, tracciando con la punta del naso un percorso dal lobo fino alla giugulare. Lo sento rabbrividire. Lecco la carne sul suo corpo scoperto. Vi soffio sopra. Lo sento pian piano rilassarsi. E poi, all’improvviso, affondo i canini nella sua giugulare pulsante. Non appena penetrano nella carne, i battiti del suo cuore si trasmettono a me e piano piano il suo sangue scorre nella mia bocca. Lo gusto a pieno, assaporandolo centilitro per centilitro. Impiego un secondo a valutare per quanto tempo è stato qui. Una settimana. È già tanto. Affondo ancora di più i canini, fino al punto di non ritorno. Il sangue si riversa ora come un fiume in piena nella mia gola. Chiudo gli occhi, gemendo di piacere, mente sento gli ultimi spasimi del corpo tra le mie mani. Mi basta qualche minuto e poi quel corpo esanime ormai è privo della minima goccia di sangue. Lo lascio cadere a terra. Passo una mano sulle labbra, per togliere le gocce di sangue e mi volto. Quando sono alla porta lancio appena un’altra occhiata al corpo. Un colpo di mano e quello non c’è più. Chiudo la porta alle spalle e risalgo le scale. Sospiro soddisfatto. Ci voleva proprio. Sento già le forze aumentarmi, andando a rinvigorire ogni singolo muscolo. Sì, era buon sangue, ma non il migliore che io abbia mai assaggiato. E mentre raggiungo la sala dove c’è Liam ad attendermi, un pensiero mi tormenta. Che gusto avrà il ragazzo dagli occhi azzurri? Non faccio in tempo a rifletterci, che un sibilo d’allarme m’inizia a tormentare l’udito. Resto un attimo in ascolto e capisco da dove proviene. La mia stanza. La rabbia s’impossessa di me. Quel maledetto ragazzo vuole davvero farmi incazzare. Ho una buona notizia per lui. Ci sta riuscendo. E non sarà molto piacevole. Per lui, almeno.

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