Zayn, piccolo mio.

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ZAYN, PICCOLO MIO.

Basta bianco, basta.

Tremo. Fa freddo. Sono debole. Ho fame. Fatico a tenere gli occhi aperti, ma ho paura di chiuderli. Ho paura di rivivere l’incubo. Ho paura di sentirmi morire di nuovo.

Oh mamma. Mamma, ho bisogno di te. Quando la pietra ha inciso il mio braccio, ti ho sentito vicina. Eri lì con me in quel momento. Vero mamma? Ecco perché mi sentivo così…bene. Adesso ho freddo. L’unica consolazione è la perenne pulsazione dei tagli. Mi fanno sentire che sei ancora qui, vicina. Ed è proprio questo ciò di cui ho bisogno mamma. Necessito della tua vicinanza. Ho bisogno di sentire il tuo profumo. Di vedere il tuo sorriso. Di vedere quello stesso sorriso riflesso nei tuoi occhi. È questo che mi serve. E l’unica cosa che mi da una parvenza di tutto questo, è il rosso. Quel rosso che sgorga doloroso, eppure così piacevole dal mio avambraccio candido. Rosso come i tuoi capelli, fiammanti e bellissimi. Mamma, perché non sono nato come Zayn? Lui non mente. Lui non è bianco. Eppure non è nemmeno nero. Ecco, forse è così. Forse del buono c’è in questo mondo. Zayn. Lui sì. Lui è buono. L’unico bene presente in questa vita. E io ho la fortuna di averlo vicino. O almeno, la avevo. Ma come al solito non ho saputo proteggerla. E adesso è in pericolo. Per colpa mia. È sempre colpa mia mamma. Cosa c’è che non va in me? Perché tutto quello che faccio è sbagliato? Proprio non riesco a capirlo. E intanto l’assalto del freddo non cessa. Tremo fin nell’anima. Trema anche quel piccolo rimasuglio di cuore che mi è rimasto. Al di fuori di quella carcassa sanguinante che è la maggior parte. Quel piccolo angolino di cuore rimasto, sei tu mamma. È da lì che ti sto parlando. Sei tutto ciò che mi rimane. Sei tutto ciò che mi mantiene ancora vivo. E forse è sbagliato. Forse non dovrei continuare a vivere. Mi domando perché respiro ancora. Perché il mio cuore batte e la mia cassa toracica si espande per poi restringersi nuovamente. Perché? La mia vita è fatta di questo. Di perché e di forse. Probabilmente è proprio per questo che in realtà non serve a nulla. La vita necessita di risposte e sicurezze. E io non ho né l’una né l’altra. Ti rendi conto mamma? Non ti ho mai parlato così tanto. Nemmeno quando eri viva. Nemmeno quando ero vivo. È triste come cosa, sai? Come tutto ormai, mi rispecchia. Non riesco nemmeno a vivere nel presente. Nella realtà. Fa troppo male. E così mi limito a parlare con te. Non mi fraintendere mamma, ti ringrazio per ascoltarmi. Sei tutto ciò che mi rimane. Ma questo te l’ho già detto. E così continuo. I pensieri mi affollano la testa e non riesco a gestirli. È troppo. Davvero troppo per me mamma. Non so se resisterò ancora a lungo. Anche se in realtà, già ho ceduto.

Zayn Pov.

Sbadiglio e alzo le palpebre ancora pesanti di sonno. Dove sono? La risposta mi arriva veloce dai miei sensi. Su un letto. Sì, ma quale letto? Mi guardo intorno. Non ho mai visto questa stanza. Il baldacchino su cui sono disteso è imponente. Le parenti di una stanza piuttosto grande sono decorate con intagli nel legno. Strano. Molto strano. Di fianco a me, sul comodino, c’è un bicchiere. Contiene un liquido rosso. Che cos’è? Mi avvicino. Spero sia succo all’arancia. Adoro il succo all’arancia. Lo afferro esitante e lo annuso. L’odore che raggiunge il mio senso olfattivo mi fa lanciare un grido di sgomento e mi fa lasciare di botto il bicchiere, che cade sul letto macchiando il materasso blu. Oddio, che cazzo ho combinato? Passi in corsa da dietro la porta. Quella si spalanca di colpo e la persona dei miei incubi mi fa tornare tutto alla memoria.

Niall Pov.

Saranno ore che passaggio avanti e indietro. Non so cosa fare. Da quanto tempo è ormai che il ragazzo dorme? Troppo. Davvero troppo.

All’improvviso un urlo poco virile infrange il silenzio. Riconosco questa voce. È il ragazzo dormiente. Si dev’essere svegliato. Ma cosa ha causato quest’urlo? Appena il mio cervello formula la domanda mi precipito nella mia stanza. Spalanco la porta.

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