Capitolo 5

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5.


Fui svegliata da un trambusto improvviso, e dallo scalpiccio dei piedi di Rey sul parquet del corridoio.

Subito desta, scalciai le lenzuola e il panno di lana e, in fretta, infilai le scarpe ai piedi, catapultandomi fuori dalla stanza.

Trovai le luci accese nel salotto, un bollitore soffiante sul fuoco e tre persone accalcate nei pressi del divano.

L'odore ferroso del sangue mi pizzicò le narici e, nel notare una scia di gocce sul pavimento, esalai: "Rey, che succede?"

Lui levò la sua testa bruna per scrutarmi, lasciando temporaneamente l'analisi che stava svolgendo sulla persona stesa sul divano.

Mi fissò turbato per un attimo ma, infine, mi ordinò laconico: "Torna a letto, Litha. Non preoccuparti."

Lo ignorai bellamente, avanzando a grandi passi e, nell'oltrepassare il divano, scorsi un ragazzino adolescente con una brutta ferita al costato.

Con lui, altri due ragazzi tremanti stavano osservando con occhi sgranati e frementi l'amico, apparentemente terrorizzati da ciò che stavano vedendo.

"Cos'è successo?" domandai a quel punto ai ragazzini.

Usai un tono così perentorio e dittatoriale che entrambi sobbalzarono, impallidendo visibilmente.

Tamponando la ferita con una garza sterile – le mani prudentemente ricoperte da guanti in lattice – Rey borbottò: "Visto che non ne vuoi sapere di tornartene a letto, puoi portarlo tu in infermeria, mentre io chiamo i suoi genitori?"

"Nessun problema" assentii, piegandomi in avanti e sollevando il ragazzino come se nulla fosse.

I due giovani mi fissarono ancor più straniti e, nel sogghignare loro, dissi: "Sono una figlia di Dana, non Wonder Woman. E, a giudicare dai vostri sguardi ansiosi, voi tre siete nei guai fino al collo."

Ciò detto, corsi fuori senza curarmi di indossare nulla sopra le braccia nude.

Quando l'aria gelida di quella notte di febbraio mi colpì, strinsi i denti ma proseguii.

Sorreggendo senza sforzo il giovane, che si stava lagnando per il dolore al petto, digitai in fretta il codice sul tastierino della porta e corsi al piano superiore.

Lì, depositai il ragazzo su un letto, mi infilai i guanti di lattice e presi garze e disinfettante dallo stipetto più vicino.

Senza darmi pena di salvare la sua felpa lacerata, la strappai per meglio osservare la ferita e, scusandomi in anticipo, iniziai a pulire la lacerazione dal sangue.

Il ragazzo si lamentò, tentò di scostare le mie mani, ma io lo rassicurai con tono gentile ma fermo.

Gettai nel cestino non meno di tre garze zuppe di sangue, prima di rendermi conto di qualcosa di profondamente sbagliato.

Perché continuava a sanguinare?

Di norma, un licantropo avrebbe dovuto ritemprarsi nel giro di pochissimo, e non dubitavo che quel ragazzo fosse un mannaro.

Perché, altrimenti, recarsi in piena notte da Rey?

Quindi, cosa stava succedendo?

Quando avvertii i passi concitati di qualcuno su per le scale, osservai ansiosa l'entrata del pronto soccorso.

Un attimo dopo, comparve Rey, trafelato e vagamente pallido.

Mi raggiunse quasi correndo assieme agli altri ragazzini e, nell'annuire a ciò che avevo fatto, mi chiese: "Come te la cavi, con il pronto soccorso?"

Eternal dream - Irish Series Vol. 4Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora