Prologo

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L'aria della notte era frizzante e fresca in contrasto con la sua pelle calda, tanto che si ritrovò a rabbrividire quando un leggero venticello le scompigliò i lunghi capelli.

Si sporse dalla costruzione di plastica e allacciò il suo sguardo agli occhi più belli che avesse mai visto in tutta la sua vita, trovando quelle iridi verdi che la osservavano con devozione, brillando sotto il riflesso argenteo della luna.

Le sorrise dolcemente, sedendosi sul bordo dello scivolo e alzando un sopracciglio sorpresa, quando l'altra le soffiò un piccolo bacio con la punta delle dita.

«Mi prenderai?» Le domandò.

«Sempre.» Rispose con un sorriso.

La fissò ancora per un lungo momento e poi lasciò andare la presa, iniziando a scivolare lungo la plastica fredda, alzando le mani al cielo con una risata cristallina.

Alla fine dello scivolo l'altra persona l'aspettava a braccia aperte, l'espressione più felice che qualcuno le avesse mai visto.

Finita la discesa, nonostante l'avesse afferrata, si ritrovarono a rotolare nella sabbia, ridendo come se non ci fosse un domani, per niente preoccupate che gli abiti che indossavano potessero sporcarsi.

«Avevi detto che mi avresti presa.» Disse, infine, con il sorriso che ancora le increspava le labbra.

«Ti ho presa infatti.» Rispose, indicando i loro corpi intrecciati.

«Dovrai pagarmi la lavanderia.» Mormorò, chinando il capo per sfiorarle la bocca con la sua.

«Non è un problema. Tutto pur di vederti così: bella e splendente di felicità.»

E dopo quella frase non ci fu più bisogno di parole, solo labbra che si sfioravano, respiri che si confondevano l'uno sull'altro, mani che si accarezzavano.

«Credo di essermi innamorata di te, Camila Cabello.» Mormorò, infine, staccandosi giusto il tempo per riprendere fiato.

«Io credo di amarti da sempre, Lauren Jauregui.» Le confessò con dolcezza.

L'amava.

Amava Lauren Jauregui.

Lauren Jauregui, la sua personale spina nel fianco.

Lauren Jauregui, colei che le aveva dato il tormento per tutta la sua vita scolastica.

Lauren Jauregui, che amava dal primo momento in cui l'aveva vista.

Lauren Jauregui, che, era sicura, avrebbe amato per sempre.

Il corpo umano è una massa d'acqua piena di contraddizioni.

Un semplice taglio ad un piede potrebbe causare la perdita di tutta la gamba.

Un germe microscopico potrebbe causare addirittura la morte.

Un coma potrebbe causare la perdita del tono muscolare e danni cerebrali.

Alcune persone si svegliano con un lento battito di ciglia.

Altre persone premono tranquillamente il bottone per chiamare l'infermiera.

Camila si svegliò urlando.

Una parola, sostenevano alcuni, altri invece credevano che fosse solo pazza.

Il suo corpo fu percorso da una scossa e si alzò a sedere sul letto, facendo sì che l'ago della flebo, infilato nella sua mano sinistra, si strappasse e le uscisse dalla pelle.

Si guardò in giro frenetica e poi con uno scatto allontanò le coperte che la coprivano, facendole finire al suolo con un tonfo sordo.

E gridò di nuovo.

Le infermiere corsero, frenetiche, verso la sua stanza.

Una di loro, più veloce delle altre, riuscì a prendere l'esile donna mentre cercava di saltare giù dal letto.

«Signora Cabello, ha bisogno di calmarsi!» Le disse mentre, con l'aiuto delle altre donne, la riposizionava nuovamente nel letto.

«Cosa sta succedendo?» Domandò, allarmata.

Finalmente si prese qualche secondo per guardarsi intorno: si trovava in una stanza d'ospedale.

Oddio, che cosa stava succedendo?

La testa le pesava, il respiro era corto e le facevano male tutte le ossa.

«Signora che cosa ricorda?» Le chiese, infine, l'infermiera, prendendo a controllarle la temperatura, il respiro ed il battito cardiaco.

«Cosa?»

Questa fu l'ultima parola che disse prima di cadere in un sonno profondo.

****

Quella stanza era troppo statica per i suoi gusti.

Troppo bianca.

Troppo silenziosa.

Troppo impersonale.

Solitamente l'ufficio di un dottore era sempre contornato di foto – magari inquietanti – del corpo umano, degli organi e di tutta quella roba medica che le persone non capivano, mentre quello era semplicemente bianco, facendo apparire tutto così surreale.

La porta si aprì lentamente, fece il suo ingresso un uomo alto, con gli occhiali e con dipinto sul volto un sorriso rassicurante.

Si alzò per stringergli la mano, sentendo nitidamente il freddo che, probabilmente, era dovuto ai guanti di lattice che aveva indossato sino a pochi minuti prima e poi riprese posto.

«Come sta?» Chiese con preoccupazione, non riuscendo più a trattenersi.

La chiamata dall'ospedale era arrivata solo un'ora prima ed aveva lasciato immediatamente tutto quello che stava facendo per correre lì.

Al suo arrivo aveva dovuto attendere perché la stavano visitando.

«Molto meglio.» Le rispose l'uomo con voce tranquilla.

«La signora Cabello ha riscontrato una lieve commozione celebrale.»

«Ma non è niente di grave, vero?» Chiese ansiosamente, tormentandosi le mani.

Solo sua moglie poteva prendersi una commozione celebrale ricevendo una botta in testa così assurda, ma non poteva biasimarla, in fondo non era stata colpa sua.

«Avrà un grande mal di testa per giorni.» Disse con tono rassicurante, ma quando notò lo sguardo ansioso della persona con cui stava parlando, si apprestò ad aggiungere.

«Potrà riportarla a casa addirittura stasera, non è nulla di grave glielo assicuro.» Continuò, aprendo la cartella davanti a lui.

«Almeno non in senso medico.»

«Ah, okay...»

Un sospiro di sollievo intaccò quel silenzio irreale, prima che le parole che il medico aveva detto arrivassero al suo cervello.

«Aspetti... Cosa?» 

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