Capitolo 3

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Capitolo 3

La stanza era immersa nella penombra, grazie alla persiana abbassata che lasciava entrare quel giusto di luce da lasciar intravedere le due persone nel letto, ma non permettendo al sole di entrare e scaldare così l'aria.

New York d'estate era un vero e proprio forno, l'aria era afosa e le polveri sottili dovute al traffico non aiutavano le persone a sentirsi meglio, tutt'altro.

Faceva rimpiangere loro di non essere in un posto decisamente più fresco.

Lauren avrebbe decisamente preferito essere stesa su una bella spiaggia, il sole a scaldarle la pelle e un leggero venticello a donarle un po' di sollievo, invece di sentirsi le lenzuola del letto appiccicante alla schiena e il fastidioso ronzio del ventilatore poco distante.

Quando Camila le aveva detto che avrebbero dovuto rimandare le vacanze di qualche settimana, non aveva avuto da obiettare, perché il lavoro di sua moglie era importante e gli spettacoli erano agli sgoccioli.

Avrebbero avuto molto tempo per stare insieme dopo e, data la sua condizione, nemmeno il suo lavoro sarebbe stato d'intralcio, questo l'aveva resa felice.

Finché il condizionatore non si era rotto.

Nemmeno quello sarebbe stato un grosso problema, se non per il fatto che ogni persona in grado di aggiustarlo in quella città sembrava essere stata assalita da appuntamenti per almeno due settimane.

Non se ne meravigliava, quella era forse l'estate più calda che potesse ricordare a New York: tutti coloro che erano in possesso di un condizionatore lo facevano revisionare e chi non ne era provvisto stava facendo sacrifici per farselo installare.

Morale della favola: era al suo settimo mese di gravidanza, le sembrava di avere un anguria nella pancia, faceva caldo ed era costretta a New York per altre due o forse tre settimane, con solo un ventilatore a farle compagnia in quelle giornate afose.

Oh, senza contare che, in casa, sembrava l'unica ad essere seccata per quella situazione.

Aveva sempre adorato la determinazione e la gioia di vivere di Camila, ma, negli ultimi giorni, non poteva fare a meno di sentirsi infastidita da quei modi di fare.

Insomma, stavano vivendo un dannatissimo supplizio, come poteva Camila avere sempre quel sorriso stampato sulle labbra?!

Le dispiaceva fare quel tipo di pensieri e, come ogni volta, diede la colpa agli ormoni, che sembravano aver dato un party all'interno del suo povero corpo.

Sbuffò, e nel farlo una ciocca di capelli si alzò leggermente per poi ricadere dritta sul suo volto arrossato e paffuto.

«Non credi sia ora di scegliere il nome? Continuando di questo passo non lo faremo mai...» Mormorò Camila, il viso poggiato sul pugno, in corrispondenza della pancia di Lauren, le gambe sollevate all'indietro e gli occhi puntati sull'addome gonfio della moglie.

Non ne poteva più di rimandare quella scelta, non vedeva l'ora di poter parlare al suo bambino, rivolgendosi a lui senza l'ausilio di nomignoli, senza contare che, continuando in quel modo, sarebbero arrivate al giorno del parto impreparate e, colta dalla foga del momento, probabilmente Lauren sarebbe stata in grado di chiamare loro figlio con il nome di qualche panino al bacon.

E lei ovviamente non poteva permetterlo, il loro bambino doveva avere un bel nome, qualcosa che piacesse ad entrambe, ma che piacesse soprattutto a lui, in fondo avrebbe dovuto portarlo per sempre.

«In questo momento amore mio, non ho nemmeno la forza di respirare con questo caldo.»

«Andiamo, Lauren!» Esclamò Camila.

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