Killian: Capitolo 3

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Killian

Capitolo 3

 

Era da così tanto tempo che non la vedevo. Quando i suoi occhi sorpresi ma allo stesso tempo sprizzanti di gioia si erano posati su di me, non ero riuscito a fare a meno di sorridere. Mi era mancata da morire: il suo sguardo pieno di energia, il suo sorriso largo e le piccole lentiggini marroncine che le costellavano la pelle rosea sotto gli occhi. Dio, quegli occhi da cerbiatto che riuscivano a farmi fare qualsiasi cosa desiderasse. Non solo avevo sentito il respiro smorzarmisi vedendo quanto più bella fosse diventata in un solo anno, ma una sorta di nervosismo si era impossessato impetuosamente di tutto il mio corpo. Avrei voluto correre verso di lei e stringerla forte a me, ma non credevo fosse il momento adatto per dare sfogo ai miei sentimenti. Per fortuna ci pensò lei durante il cambio dell’ora. Quando avevo sentito le sue esili braccia cingermi le spalle in un saldo abbraccio, mi era parso di percepire anche il suo cuore aprirsi per farmi spazio. Mi stavo per perdere nel suo dolce profumo aromatizzato al cioccolato, quando mi ero accorto che forse avrei dovuto dire qualcosa per farla sentire meglio. Arruffandole i capelli, cosa che ricordavo odiasse, ero riuscito a sussurrarle solo poche parole di tutto ciò che mi ero prefissato di dirle. Dovevo parlarle. Assolutamente. Avevo bisogno di sentire la sua voce, di aprirmi con l’unica persona che non mi avrebbe mai lasciato.  Dovevo pur sempre fare il giro dell’Istituto, ottimo pretesto per farle compagnia.

Durante la mattinata, quasi tutte le ragazze della classe in cui ero capitato, per immensa fortuna la stessa di Gwen, mi avevano seguito e circondato con risolini ed urletti. Non hanno proprio niente di meglio da fare che stare lì a fissarmi?, avevo pensato irritato.

Comprendevo di essere “quello nuovo” e che quindi ai loro occhi potevo essere interessante, ma non afferravo il perché fossi diventato il fenomeno da baraccone del momento. Quelle ragazze non erano minimamente al livello di Gwen: non sembravano né intelligenti né simpatiche, ma, pur controvoglia, se lei avesse desiderato che mi facessi nuovi amici, non avrei esitato a diventare il ragazzo più socievole della scuola. Alla fin fine era ora di cambiare. Non ero mai stato troppo aperto a nuovi incontri e l’unico amico che ero riuscito ad avere era una ragazza. Era davvero il momento che mi dessi una svegliata. Sarei cambiato da quel momento: nuova scuola, nuova vita, stessa Gwen.

Sentendomi oppresso da quella mandria di ragazze petulanti, cautamente mi ero avvicinato a due ragazzi che stavano in piedi vicino alla seconda finestra a destra. Mi stavano squadrando con sguardo inquisitorio e leggermente invidioso, ma nei loro volti c’era qualcosa che mi fece capire quanto amichevoli e divertenti potessero essere. Schiaritomi la gola, ero riuscito solo a sbiascicare un veloce saluto e senza pensarci due volte gli avevo formalmente allungato la mano. I due mi erano parsi un po’ perplessi, ma dopo pochi secondi, con un largo sorriso, entrambi risposero calorosamente al saluto. Erano due ragazzi abbastanza alti e uno dei due portava un neutro paio di occhiali in metallo argenteo. Quest’ultimo si chiamava Bat Traig: occhi grigi, ciuffi biondi che cadevano fitti sulle tempie, fisico asciutto e sguardo intelligente. Il ragazzo più alto alla sua destra invece era Greg Jhones, completo contrario dell’amico: occhi verde spento, capelli a spazzola di un rosso scuro opaco, fisico scolpito ma proporzionato alla sua altezza e un sorriso furbo e malizioso, niente a che vedere con l’aria solenne dell’altro.

Ci eravamo presentati da circa sei secondi e loro già mi avevano accolto come fossi stato un loro fratello. Il mio istinto non si era sbagliato affatto. Ottimo inizio. Era l’unica cosa che ero riuscito a pensare in quel momento: due nuovi amici, e per di più entrambi intelligenti e simpatici. Non potevo, e soprattutto non volevo, sopportare la stupidità di certe persone, fattore che in passato era risultato spesso essere un ostacolo alla mia vita sociale. Era vero, c’erano state piccole amicizie mangiucchiate qua e là, ma Gwen era l’unica che mi facesse sentire veramente vivo.

Cosa avrei fatto se non l’avessi mai conosciuta? Probabilmente per i miei gusti difficili sarei rimasto solo per sempre. Non che quella possibilità mi facesse storcere il naso, vista la mia situazione, ma qualche rimpianto lo avrei avuto sicuramente. In fondo, credevo che nessuno si meritasse di rimanere solo con sé stesso per sempre: sarebbe stato inevitabile che qualcuno entrasse nel mio cuore e me lo strappasse via con forza. Io già avevo trovato quel qualcuno. Solo che non lo sapeva.

Finite le lezioni provai ad andarmene tentando di non dare nell’occhio, sfortunatamente senza alcun risultato: quelle ragazze ancora si ostinavano a starnazzare il mio nome e a seguirmi con lo sguardo. Certo, carine erano carine, ma erano a dir poco fastidiose. Nonostante il grande ostacolo riuscii comunque a darmela a gambe e, infilatomi le mani nelle tasche laterali dei pantaloni, mi diressi tranquillamente al balcone, meta del nostro appuntamento. Era presto, ma pensai che la bellissima vista di cui si poteva godere da lì mi avrebbe aiutato a rimanere lucido.

Raggiunta la grande portafinestra, mi parve di star per entrare in un mondo fatato, la cui atmosfera era resa leggermente esotica dalla presenza di piante varie radicate in ampi e sfarzosi vasi di terracotta rossastra. Attraversata la soglia, fui come sopraffatto dall’orizzonte che si stagliava davanti i miei occhi increduli. Il cielo rosa era dipinto a sprazzi di sfumature arancio, in completo contrasto con la nebbia che lasciava scoperte solo le cime di alcune montagnole in lontananza. A passi lenti mi avvicinai al muretto di marmo venato. Un dolce vento cominciò a spazzolarmi i capelli delicatamente, come faceva solitamente mia madre quando ero piccolo, e alcune foglie secche mi sfiorarono le guance. Per godermi al meglio la brezza inclinai la testa all’indietro, inspirando profondamente il freddo autunnale.

Intravidi una foglia che non seguiva più la stessa traiettoria delle compagne ma girava in tondo sopra la mia testa, così tirai fuori la mano dalla tasca e, afferratala, sentii la sua ruvidezza spezzarsi in tanti piccoli frammenti rossicci. Gwen era come quella foglia: ruvida, rozza all’esterno, caparbia e originale in tutto ciò che faceva, ma sfortunatamente all’interno era fragile tanto da rompersi come cristallo al minimo contatto con la realtà. Aveva perso i suoi genitori e il suo cuore era ancora intatto solo grazie alla sua tenacia. Probabilmente lei non lo sapeva nemmeno, ma chiunque avrebbe potuto infrangerla e portarmela via per sempre. Al solo pensiero sentii la testa alleggerirmisi e, mentre un misto contrastante di gelo e rabbia infuocata scorreva sempre più intenso lungo le mie vene fino ad arrivare alle dita, mi aggrappai al marmo. Era caldissimo, quasi scottava a contatto con la mia pelle sempre più gelida. Potevo sentire il ghiaccio impossessarsi del mio corpo quasi come se fossi stato un semplice burattino nelle sue mani invisibili. Perché Dio mi ha creato così? Un mostro senza futuro. Senza lieto fine. Ancora pochi anni e la mia vita sarebbe cambiata completamente a causa di quello che nella mia famiglia tutti avevano definito essere un “dono”. Per me non lo era, affatto. Mi impediva di stare con le persone che più amavo. E non perché ci fosse qualcosa di fisicamente differente dalla normalità, ma perché se mi fossi legato troppo ad una persona e anche lei lo avesse fatto, non avrei fatto altro che rovinargli la vita. Ma non ero abbastanza forte: non ero riuscito a lasciar andare Gwen. Lei avrebbe sofferto in un modo o nell’altro, e tutto a causa mia.

Perché non me ne fuggo via, lontano da lei?, pensai, disperato. Forse si sarebbe chiusa in sé stessa e i suoi occhi si sarebbero arrossati tanto da spezzare la promessa fatta a suo zio, oppure semplicemente si sarebbe dimenticata di me. La mente lo sperava, ma il cuore ne aveva paura: in fondo era stato proprio il terrore che lei andasse veramente avanti con la sua vita a spingermi a trasferirmi lì all’Istituto, lasciando la mia famiglia problematica. -Sono solo un debole!-, sussurrai, sul punto di prendermi a schiaffi da solo. Avevo provato con tutte le mie forze ad allontanarmene: avevo staccato il telefono, non rispondevo alle sue lettere sempre più insistenti, cercavo di non pensarci e mi prendevo cura di mia sorella e di mia madre. Ma niente funzionava e ogni volta che chiudevo gli occhi vedevo il suo sorriso e udivo la sua voce chiamarmi dolcemente. Dio solo sapeva quante volte avevo sognato di vederla di nuovo, di parlarle, di sentire il suo profumo e la morbidezza delle sue mani.

Provavo qualcosa di indissolubile per lei, qualcosa di bellissimo e terribile al contempo. E forse anche lei provava i miei stessi sentimenti, in fondo. Peccato però che non avrebbe mai dovuto capirlo.

 SPAZIO AUTORE: Commentate per favore.

Grazie in anticipo :)

Frozen Tear: La lacrima di ghiaccioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora