Brotherhood is forever

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Io e Ashton eravamo da sempre una cosa sola: così diversi da completarci.

Lui era tutto ciò che io non sarei ma i stata: forte, audace, scaltro e con sempre la battuta pronta.

Era sempre circondato da amici e belle ragazze, e io stavo muta, perché la prima regola è da sempre quella.

Il primo che parla era fuori.

Era stato così quando eravamo in riformatorio e lo era ora che ero legalmente tutelata da Ashton.

Lui era il boss della famiglia, colui che lavorava e che ci permetteva di vivere, mentre io ero la sorella da mantenere, il peso della situazione.

Ero sempre stata l'anello debole del nostro duo privato, ma non mi era mai importato, perché Ashton era abbastanza forte da sostenere entrambi.

"È l'ultimo?" Chiesi, vedendo Ashton sistemare a terra l'ultimo scatolone, tutto sudato e con il fiatone.

Mio fratello aveva trovato questo appartamento a prezzo stracciato, nella zona industriale di Sydney, a una decina di chilometri dalla scuola pubblica.

Io avevo ancora diciassette anni, e per lui la scuola era l'unica cosa di cui mi dovevo preoccupare.

Lui, dalla maturità dei suoi ventitré, pensava solo ai suoi due lavori: uno nel supermercato in fondo al quartiere e uno come buttafuori in una discoteca.

Ci aveva messo quattro anni, ma poi era riuscito a tirarmi fuori dal riformatorio.

Aveva fatto tutto da solo, partendo da zero e dormendo per strada.

Ma poi si era risollevato, e lo aveva fatto per me, per la sua parte mancante.

Ashton annuì, passandosi una mano nei ricci biondo sporco simili ai miei.

"Ti piace?"

Annuii, sedendomi sul letto nella mia stanzetta.

In realtà era solo un ripostiglio, ma aggiungendoci un letto era subito diventata la mia camera.

"So che è piccola e che devo cambiare la carta da parati però-"

"Ashton." Lo bloccai, sorridendogli "Abbiamo una casa e siamo insieme, va già bene così."

Ashton sorrise, avvicinandosi di qualche passo a me e dandomi un bacio sulla fronte.

"Devo andare a lavoro." Disse, guardando velocemente l'orologio.

"Ti aspetto per cena."

Ashton annuì, infilandosi la giacca in pelle "È bello averti qui, Becca."

Gli sorrisi, muovendo il viso in modo che alcune ciocche di capelli mi ricadessero sul viso così da nascondere il rossore.

"Mi sei mancato anche tu."

Ashton aprì la porta, voltandosi brevemente verso di me "Ci vediamo più tardi, sorellina." e poi sparì.

Saltai come una molla, andando dritta verso l'unica finestra della cucina, dove aspettai di vedere la testa riccioluta di Ashton allontanarsi verso il supermercato.

Passarono alcuni secondi e lo vidi e, come se mi leggesse nella testa, Ashton si voltò e mi salutò con la mano, lasciandomi un ultimo sorriso sghembo.

Ricambiai il saluto, osservandolo mentre camminava a passo svelto verso il suo lavoro.

Spostai lo sguardo sugli altri edifici di un colore grigio sporco che formavano il mio quartiere, notando con sorpresa che alcuni bambini stavano giocando nel parcheggio rovinato della strutture.

Era un atteggiamento pericoloso, ma sembrava che nessuno se ne preoccupasse.

Nessuno adulto era con loro, nessuno li sta guardando.

Nessuno, eccetto l'incappucciato seduto sulla panchina.

Ero al quinto piano, e non riuscivo a vedergli il volto, ma sembrava che stesse fumando ed osservando la fine del quartiere, nella direzione in cui Ashton era sparito.

Continuavo ad osservarlo, ma lui restava immobile nella sua posizione.

Iniziai ad annoiarmi dopo un altro paio di secondi ma, quando ero ormai decisa fare altro, l'incappucciato si voltò verso di me.

Capii subito che lui sta guardando esattamente me, come se sapesse che io ero qui, e che ricambiavo il suo sguardo.

Uno sguardo glaciale di chi potrebbe accompagnarti alla morte senza avere rimorsi.

Mi allontanai dalla finestra, cercando di calmare i miei nervi e i brividi lungo la schiena.

Restai immobile per un paio di secondi, iniziando a convincermi che no, lui non mi stava guardando, stava solo osservano i palazzi come stavo facendo io, e che era impossibile che lui riuscisse a vedermi a tale distanza.

Mi avvicinai ancora al vetro, sporgendomi con attenzione così da poter avere di nuovo la visuale sul parcheggio centrale.

Ma ormai la panchina era vuota.

Pure {L.h.}Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora