○Capitolo 11 – Pungola, pungola!
Thorin riusciva a vederla.
Vedeva Erebor.
Era così bella, imponente; maestosa, essa si stagliava nel cielo rosso del tramonto.
La via era sgombra, i suoi compagni lo incitarono e allora lui iniziò a correre.
Era così vicina, la sua casa, la sua vecchia casa tanto agognata era lì, proprio di fronte a lui.
E corse e corse a perdifiato, distanziando i suoi compagni.
Era solo nella sua folle corsa.
Non sentiva più le gambe per la fatica e la stanchezza, ma ecco che la Montagna si faceva sempre più vicina.
Ma d’un tratto capì che doveva fermarsi a riprendere fiato o non sarebbe giunto vivo dalla sua amata Erebor.
Si piegò sulle ginocchia e respirò con affanno.
Poi alzò di nuovo il capo e, come per magia, si ritrovò al punto di partenza.
Eppure aveva corso per moltissimo tempo.
Strinse i pugni e riprese a muovere le gambe dapprima lentamente, poi sempre più veloce.
Il sole stava calando e doveva sbrigarsi, ma ecco che come si fermò per l’immane fatica, era di nuovo lontano dalla sua casa.
E così fu per molte, molte volte.
Più strada percorreva e più quella sembrava allungarsi.
Allora capì: non sarebbe mai giunto ad Erebor, non avrebbe mai rivisto le grandi sale, accarezzato le pietre nelle quali erano scolpite...
Cadde in ginocchio, stremato, e pianse.
◦◦◦
Gridava, si dimenava, ma non c’era niente da fare.
Dalla sua bocca non usciva un solo suono e le braccia e le gambe sembravano essersi trasformate in pietra.
Qualcuno la teneva salda al suolo e l’unica cosa che riusciva a vedere era il luccichio della lama nella notte.
Non sapeva chi la stava trattenendo né chi fosse ad impugnare quella scure che pericolosa si avvicinava a lei sempre di più.
“Non aver paura.”
Fili!
Larya si voltò e solo allora vide a chi apparteneva quella presa ferrea sul suo corpo: il giovane Durin le sorrideva con malizia.
“Fili... perché?!” Domandò allora lei, la sua voce riapparsa come per magia.
“Te lo avevo detto, Larya.” La voce di Fràin la fece voltare di scatto dall’altra parte e ora poteva vedere benissimo suo fratello impugnare l’ascia con entrambe le mani, un ghigno dipinto sul suo volto. “Dovevi tornare a casa con me.”
“Fràin, che vuoi fare con quella?” Allarmata, tentò ancora di dimenarsi. “Fili! Fili, lasciami ti scongiuro!”
“È inutile che gridi tanto, nessuno verrà a salvarti.” Le disse Fràin, prendendole il braccio.
Le fece talmente male che non poté evitare di emettere un grido acuto.
La ferita, pensò e si rese conto che il braccio le sanguinava copiosamente.
“Dovevi stare più attenta sorellina.” Fràin alzò le braccia e con esse la scure, la lama che scintillò alla luce della luna.
“No, Fràin, ti prego! Fràin, Fràin...” Gridava lei, ma lui si faceva sempre più pronto ad abbassarla su di lei.
La cosa che la fece rabbrividire in quel momento, però, fu che Fili si era messo a ridere di gusto, come se vederla impaurita e sofferente fosse un godimento.
“Vi prego... vi prego...” Mormorò, sentendo le lacrime scenderle sul volto.
“Di addio al tuo bel braccino, sorellina!” Esclamò Fràin, poi calò la scure e Larya gridò fino a non avere più voce, inorridita e dolorante.
Le avevano tagliato il braccio.
◦◦◦
Kili aprì la porta di casa tutto sorridente, con la sua preda fra le braccia: un bel capriolo di montagna!
Sua madre e suo padre e tutti gli altri sarebbero stati contenti, era da tanto che non si cacciavano che lepri e piccoli volatili; quella sera avrebbero fatto una cena con i fiocchi grazie a lui.
“Mamma! Papà!” Gridò gaio, entrando nella cucina.
Il capriolo gli cadde di mano finendo a terra con un tonfo sordo.
Dìs e suo marito lo stavano fissando con aria truce, arrabbiata, entrambi con le braccia conserte e lo sguardo freddo.
“Mamma... Papà...” Ripeté allora il giovane, con aria più avvilita e confusa.
Non aveva fatto nulla, perché sembravano così arrabbiati?
“Kili.” Esordì suo padre, con voce dura e severa.
“Sei una vergogna.” Gli disse sua madre, in tono piatto.
“Ma...”
“Sei la pecora nera della nostra famiglia!” Continuò suo padre, infierendo sempre di più.
Kili era basito, sentiva le lacrime pungergli gli angoli degli occhi ma cercò di trattenerle più a lungo che poté, non voleva mostrarsi debole ai loro occhi.
I suoi genitori lo sorpassarono e aprirono la porta di casa.
“Ma dove andate? Cosa ho fatto?” Domandò allora, fermandoli sulla soglia.
“Ce ne andiamo, Kili. Non sei degno della tua discendenza e noi ci vergogniamo di te.” Gli disse Fili, arrivato in quel momento.
“Cos... Fili? Anche tu?!” Ancora più sconvolto di prima, fece un passo indietro e sbatté contro la poltrona.
Si voltò e trovò Thorin seduto che lo fissava come mai aveva fatto prima: “Da quando sei nato non hai portato che guai. Ne combini sempre di tutti i colori fregandotene delle conseguenze. Non sei un principe, Kili, un principe non farebbe certe cose. Sei stupido,infantile e per giunta sei fastidioso. Non sopportiamo più la tua vista, per questo lasceremo questa casa seduta stante.” Il Nano si alzò e raggiunse il resto della famiglia.
Kili non riusciva a dire una parola.
Era stordito, confuso, ferito.
Come potevano dirgli quelle cose?
Era vero, che si metteva sempre nei guai, ma si prendeva sempre le sue responsabilità riparando ai danni che combinava.
In più, suo fratello il più delle volte era suo complice eppure lo disprezzava come tutti gli altri.
Lo disprezzavano...
Li guardò andare via, senza riuscire a muovere un passo per fermarli o a trattenere le lacrime che ormai gli solcavano le guance.
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Memories of a time to come
Hayran KurguEstratto dal capitolo 6: Si alzò e fece scorrere lo sguardo sulla Compagnia finché non si rese conto della sua assenza. Se ne era andata chissà dove, portandosi via la coperta che gli aveva messo sulle spalle la sera precedente. L'aveva trovata a tr...