1. primo incontro

28 3 1
                                    

«I don't belong to you.
Non ti appartengo.
You're not what I need for being free.
Non sei ciò di cui ho bisogno per essere libera.
You know, I love you much;
Sei consapevole di quanto tanto io ti ami;
And if you love me, let me be free.
E se mi ami, lasciamo essere libera.
Tears fall when you hit me,
Lacrime cadono quando mi colpisci,
Tears dry when you leave me.
Lacrime si asciugano quando mi lasci.
Tears fall when you hit me,
Lacrime cadono quando mi colpisci,
Tears dry when you leave me.
Lacrime si asciugano quando mi lasci.
Should I belive your love? Should I?
Dovrei credere al tuo amore? Dovrei?
I do, I do, I really love you...
Lo faccio, lo faccio, ti amo davvero molto...» mi ero messa a canticchiare la canzone che avevo scritto anni fa' al mio Simon.

Chissà perché mi era ritornata in mente questa triste canzone che mi ero promessa di dimenticare.
Già, forse Charlotte sì, avrebbe mantenuto quella promessa, ma Era no, Era le promesse non le sapeva proprio mantenere, nemmeno quelle che avevano lo scopo di evitarle del dolore.

Mi osservavo in giro, alla ricerca di una macchina in moto che, con un po' di fortuna, avrebbe potuto portarmi a casa. Purtroppo però non c'era anima viva. Tutto taceva.
Ero solo io, i lampioni intenti ad illuminare la strada, i grattacieli all'orizzonte e la luna.

Continuavo a canticchiare e a bere ogni tanto qualche sorso dalla bottiglia di vino che tenevo ben salda nella mano sinistra.

Del vino davvero pessimo, tra l'altro, sì, talmente pessimo che non avrebbe avuto senso finirlo.

Perché mai avrei dovuto farlo se non mi piaceva per niente.
«solo perché l'ho bevuto finora non vuol dire che debba finirlo a tutti i costi».

Ne bevvi un'altro po' «gli sprechi non mi sono mai piaciuti» e poi lo lasciai scivolare dalle mani, proprio così, come saponetta.

«bisogna mollare la presa quando e come si vuole, e a me va così, perché quel vino è terribile».

il vetro caduto sul marciapiede andò in frantumi ma non me ne preoccupai e continuai a camminare sotto i lampioni fulminati ripromettendomi che sarei venuta a pulire il giorno dopo.
«Atti vandalici!» urlacchiai.

Quando vidi due fari in lontananza iniziai ad esultare e spalancare le braccia per attirare l'attenzione della persona sulla macchina nera che sembrava intenzionata a procedere verso la sua strada senza accostare.

Così mi buttai davanti alla macchina a braccia spalancate costringendola a fermarsi di colpo.

Il proprietario della macchina nera abbassó il finestrino e si sporse di poco per dirmi.
«Scusa non ho bisogno di niente, ciao.» e fece per ritirare la testa.

«No, no! Fermo ma cosa hai capito? Al massimo sono io quella ad aver bisogno di qualcosa. Mi hanno lasciata a piedi.»
Lui mi fissò un po' titubante.

«E io cosa dovrei fare?»

«Riportarmi a casa?»

«non puoi chiamare un taxi?»

«Ho perso la borsa con dentro il telefono»

«Se vuoi ti posso prestare il mio telefono»

Al ché sbuffai irritata.
«ti sembro forse una serial killer? Zucchero, sono sbronza, ti chiedo un passaggio, Dio. Se vuoi te lo pago e ti offro anche un caffè».

«No no, non voglio che mi paghi» mi guardò un'ultima volta prima di sospirare rassegnato «va bene. Sali su... prima che cambi idea.»
Non me lo faci ripetere due volte e corsi ad aprire la portiera per salire.

Quando entrai lo sentii dire.
«comunque io sono Lucas.»
«Io.. mi chiamo Charlotte ma da qualche anno ho smesso di farmi chiamare così. Ora sono Era, piacere zucchero.»

LUCAS'S POV

Osservavo Era mentre, dopo avermi dato le indicazioni per arrivare a casa sua, si era messa a cantare, senza preoccuparsi dello sconosciuto che aveva al fianco. Dovevo ammette che aveva davvero una bella voce.

Aveva preso tra le mani il pacchetto di caremelle posto nel cassettino della macchina e, dopo averne scelto accuratamente una gialla e una arancione, le aveva infilate entrambe in bocca.

Accortasi che la stessi fissando biascicò un "ne vuoi una?" e io come uno stupido le risposi "No no grazie" quasi fossero sue. Ricominciò a canticchiare.

«Come mai gironzoli sola a quest'ora della notte?»interruppi la triste melodia che usciva dalle sue labbra.

«Come mai uno sconosciuto mi da' così tanta confidenza? Non mi sembra di avertela mai concessa» rispose mentre abbassava il finestrino della macchina.

«Me l'hai data quando hai deciso di salire sulla mia macchina, Bunny.» lei fece uscire un braccio fuori dal finestrino facendo volteggiare la mano su e giù contro il vento.

«Non vale, sono quasi ubriaca, non ho il pieno controllo di ciò che faccio e dico», «O forse in realtà non ce l'ho mai» parlava tra sé e sé.

«Sai, già un'altro tipo una volta mi chiamò Bonny, non ricordo chi però.»

«Certo che la gente con tutti i nomi che presenti arrivata ad un certo punto non sa più come chiamarti.. » lei rise.

«In genere ne bastano uno o due, non c'è il tempo per darne un terzo, me ne vado in fretta e la gente di me ricorda solo "il brivido di gelo che lascio".» e mentre diceva quelle parole l'aria entrata dal finestrino mi passò per il corpo provocandomi brividi di freddo.

«Io ne so tre.»

«tu soffrirai l'ipotermia allora!» affermò scherzosa.

Ritirò la mano in dentro e bloccò l'entrata dell'aria chiudendo in finestrino.

«Era significa "vento", penso sia Albanese.. O forse Rumeno, non ricordo. Ma ricordo il volto dell'uomo che ogni sera parlava con me, raccontava della moglie persa perché affetta da una malattia, io in cambio gli raccontavo della mia vita e gli cantavo qualche canzone. Persisteva con il chiamarmi in quel mondo e non capivo perché; così, per soddisfazione la mia curiosità, glielo chiesi, e mi disse:
"Era nella mia lingua significa vento. E tu me lo ricordi. Sei libera, indomabile e fredda. Ora mi accarezzi il viso con la tua dolce brezza, presto mi graffierai il volto con la tua veloce fuga." da allora mi faccio chiamare così. Ha un non so che di poetico non trovi?»

Never YoursDove le storie prendono vita. Scoprilo ora