20. aspirina all'arancia

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LUCAS'S POV

Tirò a sé le gambe sul divano, stringendosele al petto e fregandosene degli stivali scomodi che le fasciavano ancora le gambe.

«Con le parole ci sanno fare tutti gli uomini. Siete bravi e noi stupide. Vi basta dire qualche bella parola ed il gioco è fatto» mi guardava con quegli occhi lucidi e le gote arrossate dalla febbre che molto probabilmente le era salita.

Sbadigliò.

«Puoi rimanere, ti ho perdonato. Non farmi pentire mai più in questa maniera di te, non te lo perdonerei..»

Ero pronto a risponderle, a rassicurarla, ma i suoi occhi stanchi si stavano chiudendo e a pochi minuti di distanza era caduta in un sonno profondo.

E rimasi lì a fissarla e a stamparmi la sua immagine nella memoria.

Le sua braccia cosparse dai segni dei brividi; le sue lunghe ciglia che carezzavano le gote chiazzate qua e la dal rosso; la posizione scomoda in cui riusciva a stare, accartocciata e chiusa a sé; le sopracciglia agrottate, segno del suo stato di dormiveglia; il respiro un po' affannato; i capelli gocciolanti.. Mi persi totalmente in lei e non badai al tempo che scorreva, tutto ciò che volevo era fissare ogni suo piccolo dettaglio, fino a sapere perfettamente una volta chiusi gli occhi tutto ciò che ci sarebbe stato riaprendoli.

Avrei voluto dipingerla ancora, richiuderla in una tela, così, indifesa su di un divano, per poterla avere per sempre vicina. Era da pazzi, i miei pensieri erano fuori controllo e la colpa era sua, di Era. Lei che era sfuggente, niente al mondo sarebbe riuscito ad esaudire quel mio strano desiderio perché chiuderla in una tela, fermare il tempo, non mi avrebbe permesso di sentire il profumo della sua pelle, sarebbe stato sopraffatto dall'odore acre delle tempere, o il suono della sua voce, coperto dai miei pensieri rumorosi impressi dal momento dello schizzo. No, lei non era facile da afferrare, potrei dire praticamente impossibile.
Eppure, se solo ne avessi avuto la possibilità, starei stato a dipingerla ogni giorno nella speranza di sentirla un po' meno lontana, forse così facendo in un modo o nell'altro l'avrei trattenuta a me.

Mi bloccai, fermai il fiume di pensieri quando si mosse, mormorò qualcosa e mi sembrò quasi avesse sentito le mie idee, ma io non avevo parlato a voce alta eppure lei si era ribellata a quei miei pensieri. Tornò a sonnecchiare.

Un pazzo, stavo uscendo di senno. Intrappolarla in una tela? Cosa stavo farneticando? La vera essenza di Charlotte, forse la cosa più affascinata di lei, era la sua libertà, il suo totale possesso di quella forza inafferrabile e il toglierle le ali sarebbe stato, oltre che impossibile, la cosa peggiore che qualcuno potesse mai farle.

Lei era pericolosa, ti ubriacava e ti faceva sfiorare ragionamenti da pazzi. Eppure, la verità era che pazzo lo sarei diventato volentieri se questo voleva dire averla anche per poco.

Scossi la testa e mi alzai in piedi dalla posizione accovacciata in cui mi ero messo durante una follia di pensiero e l'altra.

Con cautela la presi in braccio, questo atto mi riportava alla prima volta il cui l'avevo trasportata in camera sua. È dimagrita dall'ultima volta, avevo pensato in spiaggia quando l'avevo trasportata fino in macchina. pesava meno di una piuma e la cosa mi preoccupava un po'.

Le tolsi gli stivali e la coprì. La vestaglia che portava sopra era bagnata, avrebbe dovuto toglierla.

Girai per la casa alla ricerca di un termometro e qualche medicinale come una tachipirina, un oki o un'aspirina per farle abbassare la febbre.

Aprendo uno scaffale nel bagno rimasi stupito dalle quantità di pomate che vi fossero dentro, molte delle quali aperte e vicine alla data di scadenza. Controllando meglio trovai anche ciò che cercavo, una scatola di tachipirine all'arancia in mezzo a garze e altri farmaci.

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