4. appuntamento a cena

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Ero andata a recuperare la mia borsetta al bar, sapevo che il barista, Nicolas, l'avesse lasciata da parte per ridarmela una volta tornata. Oramai conosceva i miei modi di fare.
Sui baristi un paio di pensieri già li avevo fatti, mentre nelle diverse serate, seduta su uno sgabello, aspettavo che la bevanda facesse effetto.
Loro, annoiati dal loro lavoro, si distraggono osservando tutto e tutti, hanno occhi e orecchie ovunque. Non fiatano, non infastidiscono, ma ti studiano silenziosamente.
Prima ti vedono sui tacchi e poi ti vedono aggrappata ad un bicchiere di alcool. Sono da evitare, sanno troppo e pensano troppo poco per intervenire.
Sono pagati per riempire il tuo bicchiere delle lacrime che verserai.
Un lavoro come un'altro, che io probabilmente non sarei mai riuscita a fare.
Ciò non toglie che loro siano di ottima compagnia al primo bicchiere, forse la migliore di tutto il locale, davvero.

Il post-it che aveva lasciato Lucas l'avevo trovato solo oggi, a due settimane di distanza. Quando questa mattina l'ho letto mi sono decisa ad andare a prendere il mio telefono per salvare il suo numero. Prima non avevo ragioni di recuperare quella specie di macchina da guerra squillante, già consapevole dei messaggi che potevo aver ricevuto e delle chiamate perse delle persone che ero intenzionata ad evitare.

Recuperata la borsetta me ne tornai a casa, quella giornata non era destinata a diventare una triste serata in un bar dalle luci soffuse, e questo lo avevo deciso io. I pensieri, quel giorni, li avevo chiari.

Avevo deciso di riordinare la casa, gli scatoloni addobbavano la casa da fin troppo tempo. Dopo ore di lavoro, di pulizia e sudore, l'appartamento splendeva; l'unica sporca ora, ero io.

Il telefono continuava a squillare e la cosa non mi toccava minimamente. Tempo fa' avevo avuto l'idea di cambiare la suoneria delle chiamate impostandola su delle canzoni che adoravo. Un'idea geniale. Potevo acoltare la musica che mi piaceva ed evitare inutili fastidi, due in uno.

Andai a fare una doccia e non potei frenare i miei pensieri dal chiedermi chi ci fosse dietro lo squillo di una canzone uscita da poco, che aveva già chiamato un paio di volte oggi.
Sicuramente un contatto nuovo. Ma chi?
Lucas il mio numero non lo aveva e poi al suo numero ancora non avevo messo una canzone. Ero decisa a lasciare Lucas con la suoneria delle chiamate, per ora.

Mentre ero impegnata a spalmarmi il bagnoschiuma il campanello di casa prese a suonare. Alzai gli occhi al cielo.

Mi risciacquai e velocemente uscì dalla doccia. Infilai la biancheria, presi l'accappatoio ed andai alla porta per aprirla.

Non c'era nessuno. Mi sporsi per controllare e vidi un uomo scendere le scale.

«Ehi». Attirai la sua attenzione.

Quest'ultimo si girò e quando mi vide in accappatoio diventò rosso in viso.

«Oh, scusami Era, non pensavo fossi sotto la doccia- cioè ti ho chiamata e non hai risposto e pensavo- cioè sai..» non lo ascoltai e presi ad osservarlo meglio.

Questo chi era?

Sapeva il mio nome, quello con cui mi presentavo per lo meno, quindi non era uno sconosciuto. Sapeva anche dove abitavo. Quei modi di fare impacciati..

«Gerald! Eri tu allora il tipo della nuova canzone.» interruppi il suo fiume di parole. Finalmente avevo capito chi fosse.

Gerald era un tipo che avevo conosciuto un paio di settimane fa' al bar dove lavoro come cameriera. Era venuto più volte nel nostro bar, da quando mi aveva vista, e aveva sempre tentato di parlarmi. Qualche giorno fa' ha farfugliato un'invito a cena e io, forse persa nei miei pensieri, avevo accettato. Dicendogli perfino il luogo in cui abitavo. Mi diedi uno schiaffo mentalmente.

«Nuova canzone?» chiese perplesso.

«oh ma sì, avanti accomodati. Vedrò di essere pronta nel giro di qualche minuto, promesso.» entrò a passo titubante mentre io mi dirigevo in camera mia per cambiarmi.

«siediti pure.» gli gridai dal corridoio.

Entrata in camera mia tolsi l'accappatoio e presi dall'armadio un vestito rosa antico che mi arrivava fin sopra al ginocchio, poi afferrai i tacchi bianchi ed il cappotto lungo dello stesso colore. Alle orecchie misi due perle bianche e legai i capelli in uno chignon alto. Non misi tanto trucco, più perché non provassi la necessità di essere bella agli occhi di Gerald. Presi la borsa, ci infilai dentro il telefono e, dopo essermi spruzzata del profumo, lascia la stanza per andare a raggiungere Gerald.

«I miei occhi alla tua vista si sciolgono.» Bene, era pure un poeta mancato.

«Non imbarazzarmi con questi complimenti, caro.»

«Piuttosto, dove hai messo il tuo telefono? Non hai risposto nè ai miei messaggi nè alle mie chiamate. Lo hai perso? Non mi dire che una così bella giovane donna si dimentica il telefono in giro. Anche se non ho nulla contro le sbandare, le trovo così-» prese a parlare.

«Lo perdo apposta, per evitare le chiamate.» gli sorrisi e lui prese a ridere sguaiatamente.

«Sei così spiritosa.» risi anch'io per la situazione.

«Gerald, ti offrirei un caffè ma ho rotto la caffettiera.» rise di nuovo. Cosa ci fosse di così divertente in questo ancora dovevo capirlo.

«Era, amo le donne piene di carisma. Te l'ho mai detto? Ma sì, ti ho raccontato di quando-»

«Oh sì sì lo ricordo, me lo hai detto. Ora andiamo e non perdiamo tempo in chiacchiere. Le parole possono aspettare.» rise un'esima volta mentre uscivamo di casa e chiudevo la porta a chiave.

«Trovo le donne che ammettono di mangiare e di avere fame così belle e sincere. Affascinanti davvero.» gli feci un sorriso tiraro. Mi trovavo in un incubo.

Qualche ora dopo, scesi dalla macchina, eravamo giunti in un ristorante che spruzzava lusso da tutte le parti e all'interno la cosa era anche più evidente.

Quando al nostro tavolo giunse un cameriere a chiederci le ordinazioni io ancora non avevo deciso ed il menù non mi aiutava. Più della metà dei piatti non li conoscevo ed i prezzi di tutti erano alle stelle.

«Cosa volete ordinare?» chiese gentilmente il cameriere in divisa rossa e nera.

Mentre Gerald rispondeva io ancora ero persa nel menù.

«E per lei signora?» si rivolse a me.

«A dire il vero non ho molta fame, sai. Non c'è qualcosa di poco pesante che potresti indicarmi..» ma venni interrotta.

«La signora è molto timida. In realtà sta morendo dalla fame, non ha fatto altro che deviare i miei discorsi per parlare di cibo durante tutto il viaggio.» si rivolse al cameriere mentre io diventavo rossa dalla vergnogna.
«..Ma Era, tranquilla, prendi ciò che più preferici, nessuno ti giudicherà.» mi sorrise. Lo volevo prendere a schiaffi.

«Prenderò ciò che hai preso anche tu.»
Il cameriere annuì e sparì dopo poco.

«Era, è da un po' che volevo dirti una cosa e penso sia arrivato il momento di rivelartela. Non voglio tirarla troppo per le lunghe, mi piace essere diretto nei discorsi e arrivare subito al punto quindo ora te la dirò.» le sue parole catturarono la mia attenzione.

«Continua. ti prego. non lasciarmi sulle spine.» gli dissi.

«Penso di amarti.» rimasi spiazzata per qualche attimo. O cielo, questo afferma di amarmi e non capisce nulla di ciò che dico. Gli sorrisi.

«beh, che dire, ne sono lusingata, davvero. Grazie.» gli risposi.

«Sei bella anche da imbarazzata.» schifata al massimo.

«Vado ad incipriarmi il naso.»

«fai pure. Io ti aspetto qui.» gli feci un'altro falso sorriso e mi dileguai in bagno con la borsa.

Arrivata ai servizi tirai fuori il telefono e composi un numero prima di chiamarlo.

«Pronto?» rispose dall'altro campo.

«Ciao, sono Era, la ragazza sbronza. Avrei un favore da chiederti».

Never YoursDove le storie prendono vita. Scoprilo ora