7. sputo e sangue

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Stavo cantando con gli sguardi della sala puntati su di me, le mani di tutti a rincorrere i miei movimenti, le urla della folla desiderosa di altre mie parole.

E ballavo, ballavo ad occhi chiusi, scuotevo i fianchi, puntavo la mano libera al cielo.
Al di sotto del palco la gente aspettava solo un mio sguardo, una mia accortezza nei loro confronti, che non avrei mai dato.
Più di in ogni altra situazione, in quel momento, mi sentivo Era; inafferrabile, irraggiungibile, libera.
Con la mano esploravo i contorni del mio corpo quasi non mi fossero mai appartenuti, quasi fossero sconosciuti.
Le parole che stavo cantando cadevano dalle mie labbra in modo dolcemente violento ed i pensieri agrodolci nel palato aspettavano solo di uscire e deliziare tutti i presenti.

Cambiai la mano dove impugnavo il microfono ed infilai le dita tra i miei biondi capelli acconciati in stile rasta per l'evento. Scappai dalla parte di palco in cui ero ed andai all'altra estremità sentendo la folla seguire me, la mia voce, le mie movenze.
Mi misi a ridere nel mezzo della canzone ed urlai un:
«Siete carichi questa sera?» sentendo dopo un boato di assenso.
E continuai, più energica di prima, a cantare e a viaggiare per il palco.

Questa era l'ultima canzone della serata e non avevo l'intenzione di lasciare il posto senza aver prima brillato come la luna piena presente quella stessa sera, fuori dal locale.

Con l'adrenalina nelle vene andai al centro del palco facendo diversi passi all'indietro e continuai con la mia coreografia improvvisata, che sembrava essere molto gradita.

Al termine della canzone mi decisi ad abbassare gli occhi verso il pubblico che urlò il mio nome alla ricerca disperata dei miei occhi sfuggenti.

«Ringrazio tutti quanti per questa favolosa serata, l'avete resa indimenticabile, vi ringrazio!» dissi portando le mie dita sulle labbra per lanciare un bacio a tutti i presenti.
«Rimanete carichi perché non è ancora finita!» lasciai lo spazio a chi sarebbe venuto dopo di me.

Salutai la band che mi aveva assistito durante le canzoni e ringraziai loro per l'ottimo lavoro svolto.

Non era tardi, saranno state le due di notte passate, massimo le tre. Il tempo di due drink e sarei tornata a casa, accompagnata da qualcuno. Speravo solo di non finire come la mattina in cui avevo incontrato Lucas mentre girovagavo a piedi, sola ed ubriaca.
Oggi mi sarei trattenuta, non volevo che l'alcol diventasse una vera e propria abitudine.

Mentre scendevo dal palco molti ragazzi mi circondarono chiedendomi il numero ed urlando frasi stupide come "La dai al primo che ti offre un drink?". Li liquidai uno ad uno e piano piano mi avvicinai al bancone del bar.

«Un vodka lemon per favare». Dissi al barista.

«Certo. Per te tutto dolly.» mi sorrise il barista.
Io lo fissai dritto negli occhi senza ricambiare il sorriso.

«Ecco qua. Se vuoi posso offrirti anche un bacio, lo vuoi?» continuò.

«Sono a posto così.»

«Sicura? E se ti offrissi anche un passaggio? Mi hanno detto che non hai la macchina con te perché sei arrivata con il chitarrista.» cercò di contrattare.

«Amico, certo che non molli la presa. È inutile, non ti vuole.» si aggiunse alla conversazione una voce famigliare.

«Lucas!» mi girai nella sua direzione buttandogli le braccia al collo.

«Bonnie. Non sapevo cantassi dal vivo.» gli diedi un bacio sul naso e mollai la stretta.

«O ma tu zucchero di me non sai niente.» gli risposi prendendo in mano il suo drink per assaggiarlo.

Never YoursDove le storie prendono vita. Scoprilo ora