12. Occhiali da sole

19 1 0
                                    

Dopo esserci rincorsi ancora un po' eravamo tornati in macchina, come al solito lui mi avrebbe riportato a casa. Sarebbe stato un viaggio lungo.

Non mi piaceva il fatto che stesse diventando abituale, che tutto si stesse facendo troppo spesso, troppo io e lui.

Non c'era spazio per un noi, tra i miei pensieri già c'erano troppi “eravamo", lui non doveva esserne un'altro.
Eppure mi ritrovavo un'altra volta qui, sulla sua macchina, ed il peggio era che non mi dispiaceva affatto la cosa.
Ma sapevo, sapevo che presto avrei iniziato ad odiare qualsiasi luogo condiviso. Ero consapevole di tutto, nonostante questo mi illudevo di essere lontana da un qualsiasi minimo sentimento.
Che sciocca.

Sulla macchina ero diventata taciturna e Lucas se n'era accorto.

«Stai ripensando a ciò che ti ha fatta piangere oggi?»

«No, a dire il vero questo pomeriggio insieme a te ha accantonato quei pensieri e li ha rimpiazzati con altri.»

«Sono un male i nuovi pensieri?» chiese confuso dalle mie parole.

«Lo chiedi alla persona sbagliata.» guardai fuori dal finestrino.

accostò la macchina e si voltò dalla mia parte.
«Okay. Mi spieghi perché tutto d'un tratto sei diventata così, così–» mi cercava con lo sguardo.

«Lontana?» lo aiutai.

«Esattamente. Cosa non ti è piaciuto? Ho fatto qualcosa che ti ha dato fastidio? Non capisco.»

Lo vedevo parecchio frustrato. Probabilmente i miei modi lo stravolgevano completamente, se solo poco prima ridevo come una pazza ora sembrava non lo avessi mai fatto.

«Lucas non c'è niente che è andato male. Solo.. tutto è andato davvero perfettamente.» cercai di spiegarmi.

«Lo stai facendo suonare come se fosse sbagliato, come se non ti fosse piaciuto.» intrappolò i miei occhi nei suoi.

Era cattivo da parte mia comportarmi in modo così distaccato dopo che lui mi aveva consolata e portata a pattinare.

«I-io non ho detto questo. Lucas, ti assicuro che ciò che hai fatto oggi, portandomi in quel posto, è stata la cosa migliore che tu potessi fare, davvero.» cercai di rassicurarlo.

«Lottie se c'è qualcosa che non va, dimmelo. Okay?»

«Certo.» annuii.

Rimise in moto la macchina.

«Vuoi conoscere il motivo per cui oggi piangevo?» non sapevo perché gli stessi chiedendo una cosa simile.
Io che cercavo sempre di non parlare di me, che urlavo, litigavo e allontanavo il mondo pur di non dire una parola in più, stavo per dire a Lucas qualcosa di davvero personale sul mio conto.

Non aspettai una sua risposta per parlare, lo avessi fatto poi non gli avrei più detto il motivo.

«Oggi dovevo rivedere mio padre. Sono passati due anni dall'ultima volta che l'ho visto.» dissi.

«Ecco spiegato perchè oggi fossi alla BU, dovevi parlare con il signor Erickson. Come mai non lo vedi da due anni? Avete litigato?»

«Oh, nient'affatto. Diciamo che sono scappata di casa a diciotto anni; per andare a vivere lontano, con quello che doveva essere il più grande amore della mia vita, o che per lo meno è stato.»

«Lo è ancora?» chiese con della curiosità di troppo.

«Non farmi domande su Simon, non rispondo nemmeno alle mie.» fissai gli occhi sulle mani di Lucas.
Aveva per un attimo stretto il volante.

Never YoursDove le storie prendono vita. Scoprilo ora