Capitolo 5 - Parte 2/2

11 3 4
                                    


A quel punto salutando nuovamente i miei genitori mi diressi verso la porta per uscire di casa. E quando fui fuori, andò subito ai miei occhi la macchina di Zack e come non poteva non vedersi? La sua Renault Mégane era di un colore blu brillante che copriva tutta la bellezza di quel arnese meccanico. Poi lui adorava guidare, era una sua passione fin da quando lo conoscevo a tal punto che ai suoi diciotto anni aveva voluto subito prendersi la patente per comprarsi un auto tutta sua. La trattava quasi come un gioiello, anche se capivo le sue ragioni per amare quella macchina, per me non aveva poi così tanta bellezza. Ma forse perché a me non interessavano le auto e nemmeno avere una patente, mi andava bene camminare o prendere l'autobus. Tanto non mi faceva poi così tanta differenza, anzi mi dava meno problemi viaggiare con mezzi di trasporto che con uno mio.

Comunque, avvicinandomi alla macchina e aprendo lo sportello davanti, non alla guida: "Buongiorno, come mai mi stai aspettando?" Domandai incuriosito a mio fratello.

"Buongiorno anche a te. Che problema c'è? Oggi sono in vena di accompagnarti".

"Strano da parte tua". Risposi con tono abbastanza seccato.

"Entra in macchina invece di criticarmi".

Entrando all'interno, accennando un sorrisetto: "Io, criticare? Non è nel mio dna".

Zack portò la sua mano sulla mia testa e dandomi un buffetto: "Idiota, come no. Tu sei nato per criticare".

"Ahi! Mi hai fatto male e poi non è affatto così! Io dico le cose come stanno, antipatico".

Zack sospirò rumorosamente, poi rispose: "Va beh, chiudiamo questo discorso prima che arriviamo entrambi in ritardo a lavoro".

Mettendo il broncio, lo guardai con occhi quasi di sfida. Lui mi lanciò un'ultima occhiata, poi mettendo in moto la macchina iniziò a dirigersi verso la strada per andare finalmente ai nostri posti lavorativi.

Vedendo che non avevo proferito nessuna parola per tanti minuti, Zack sospirando nuovamente: "E dai, smettila un po' di fare l'offeso. Con te non ci si può proprio scherzare".

"Non sto facendo l'offeso, solo voglio che tu capisca che io dico le cose come sono".

"Ah, finalmente hai ripreso a parlare, pensavo ti avessero mangiato la lingua". Disse Zack facendo partire una risata divertita.

A quelle parole sorrisi appena: "Per sfortuna tua ce l'ho ancora".

"Meglio così, se no come potrei trascorrere le mie giornate senza le tue lunghe chiacchierate?"

"Ah, non saprei. Ma c'è pur sempre mamma che parla più di me". Dissi divertito.

"Già è vero".

Entrambi facemmo partire un risata divertita, pensandoci su la mamma parlava davvero più di me e Zack messi insieme, certe volte non riuscivamo neanche a tenere il filo del discorso quando partiva a raccontare una cosa.

Dopo pochi minuti, arrivato davanti al mio posto di lavoro con la compagnia di Zack: "Ci vediamo più tardi". Dissi.

Mio fratello trovandosi ancora dentro la macchina, mi rispose: "Sì, buon lavoro".

"Grazie!"

Guardai la sua auto allontanarsi da me dopo quel saluto, poi dirigendomi davanti alla cartoleria entrai all'interno: "Buongiorno!"

"Buongiorno a te Alastair". Rispose la proprietaria del negozio.

Era una signora di quarantacinque anni, abbastanza alta con capelli scuri e occhi altrettanto color marrone come i suoi capelli corti e lisci. Non era affatto una cattiva persona, anzi sapeva essere molto gentile e anche volenterosa nel farmi imparare le cose. Come ambiente lavorativo era piacevole e non troppo noioso come campo di vendita.

Oggi avrei fatto soltanto quattro ore al mattino, quindi potevo andare, subito dopo il lavoro a trovare Eiron, o anche nel pomeriggio.

"Alastair, potresti mettere a posto queste penne per favore?" Mi domandò la proprietaria.

"Certo, nessun problema" Le risposi dirigendomi verso la scatola che mi stava indicando. Aprendola, vidi quelle penne a sfera elegantissime nere con un filo di colore oro che circondava la metà della penna. Ne presi in mano qualcuna mettendole nel loro apposito scaffale, in modo che fossero ordinate e anche facili da prendere.

Quel negozio non era molto grande, ma neanche piccolo. Diciamo che era abbastanza spazioso per avere un po' di tutto riguardo la scuola e anche cose specifiche per i disegnatori. Come fogli, pennelli per gli acquarelli e tanto altro.

Trascorse le quattro ore di lavoro, uscito dalla cartoleria mi diressi verso casa. Visto che era l'ora di pranzo avrei fatto meglio ad andare prima a mangiare qualcosa e poi nel pomeriggio sarei andato nel bosco. Tanto non era distanza da dove vivevo, trovandosi a qualche metro da casa mia.

Prendendo in mano il ciondolo e stringendolo a me, tentai di parlare con il mio amico tigrato. Beh, in realtà non funzionava sempre la telepatia tra noi due, ma stranamente, ogni tanto quando tenevo il ciondolo in mano e provavo a trasmettere le parole che volevo dire a Eiron, riusciva a coglierle, come anche io. Entrambi non sapevamo il motivo del perché non funzionassero sempre queste conversazioni a distanza. Ugualmente tentai di parlargli: "Eiron. Ci sei?"

Non ricevetti nessuna risposta, forse non mi sentiva neanche questa volta? O non funzionava? Non ne avevo minimamente idea purtroppo. Feci un altro tentativo: "Eiron, ci sei?"

Rattristito da quel silenzio continuai la mia camminata verso la strada di casa. Mi dispiaceva non poter sapere a distanza come stava o cose simili. Certo potevo saperlo solo tramite il colore del ciondolo, ma sarebbe stato bello sentire anche la sua voce come alcune volte accadeva di sentirla nella mia mente.

Prima di pensare ad altro sentii una voce provenire nella mia testa: "Ciao Alastair. Sì ci sono. Ogni tanto riesco a sentirti tramite il ciondolo e tu?"

Sorridente risposi: "Che bello, allora funziona ogni tanto! Sì, ti sento forte e chiaro. Ma perché certe volte non riusciamo a sentirci in lontananza? Non è strana come situazione? Certe volte funziona altre volte per niente".

Eiron ipotizzò qualcosa: "Sai sono arrivato a una conclusione valida, forse succede quando siamo troppo lontani null'altro. Non è da escludere, non credi?"

Ci pensai un attimo su, forse aveva ragione, visto che mi stavo avvicinando a quel bosco, che distava a pochi metri da casa. Poteva essere che la troppa lontananza non ci faceva iniziare una conversazione. Insicuro risposi: "Beh, può darsi. Visto che sono quasi vicino al bosco dove stai tu, può essere che riusciamo a parlarci perché sono vicino e non troppo distante da te. Ma non possiamo esserne sicuri".

"Sinceramente è l'unica cosa logica a cui sono arrivato. Perché quando sei a casa tua, che è vicina al bosco riesco a parlare con te. E invece quando siamo troppi metri distanti, non riusiamo per niente a sentirci, ci hai fatto caso? Come quando vai a lavoro, perché lì siamo troppo distanti".

"Non ci avevo pensato in realtà, ma le cose che hai detto calzano tutte a pennello. Forse è davvero così".

Ero felice di aver trovato insieme a Eiron un'idea sul collegamento delle nostre conversazioni. Speravo solo fosse realmente così, ma per saperlo bastava provare, no? E a pensare bene, quando mi trovavo ancora vicino alla cartoleria anche se chiamavo Eiron, non ricevevo nessuna risposta. Invece dopo essermi allontanato di un bel po' da quel posto, cercando nuovamente il mio amico, ero riuscito a trovarlo poco dopo. Come aveva detto Eiron, era l'unica cosa fattibili tra tutte.

Avanzando sempre di più verso casa mia, continuai a conversare con Eiron della mattinata trascorsa tranquillamente. 

La tigre alataDove le storie prendono vita. Scoprilo ora