III

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La luce era bellissima, tenue e rosata. Anna era contenta, si sentiva bene. Non pensò a nulla di particolare, la sua camera, una sciarpa morbida che era sempre stata la sua preferita, il calore generico dell'acqua, del divano, del piumone. Sentiva di essere ancora, nient'altro. Poi i ricordi riaffiorarono con calma e non le sembrarono così terribili, in quel momento. Era successo ed era finito.

E' finito?

Provò a schiudere gli occhi e ci riuscì solo in parte, da destra. La luce che la colpiva era diretta e abbagliante. Capì di non essere in un sogno, di non essere in un limbo o qualcosa del genere. Percepì debolmente le proprie mani. C'erano, sentiva che i dorsi erano appoggiati a qualcosa. Ma non riusciva a muoverle. Un guizzo (non un guizzo, un'immagine, oppure un flash.) di sala operatoria, cinghie, amputazioni da sveglia, le passò come un lampo. Lasciò andare quest'idea senza inseguirla. Inspirò a fondo e, se aveva avuto qualche dubbio, riconobbe l'odore.

sono ancora qui

Avrebbe dovuto provare sconforto ma era ancora troppo intontita e si limitò a constatare il fatto. Tornarono anche le gambe, sentite in maniera differente, la sinistra diversa dalla destra.

mi ha amputato il piede

No, i piedi erano al loro posto ma il sinistro aveva qualcosa

una scarpa? una calza?

sopra che lo stringeva. Il fastidio vero furono le natiche, che le sembrarono appiattite e incollate al terreno. Avrebbe voluto ruotare la schiena ma non riusciva a muoversi.

sono paralizzata

sono caduta e mi sono spezzata il collo

Ma non era vero nemmeno questo, sentiva tutto, riusciva a percepire ogni parte del proprio corpo, e ai paralitici non succedeva. Man mano che tornava presente si accorgeva che c'erano tantissime cose in comune con il suo primo risveglio lì dentro. Doveva solo aspettare e sforzarsi. Non appena riuscì a muovere le mani per prima cosa si tastò il viso, poi passò al corpo e lì ebbe la prima sorpresa: il vestito verde di lana non c'era più. Al suo posto qualcosa di diverso, in panno, molto morbido e caldo. Sotto delle mutande diverse dalle sue, un po' troppo grandi. Allora le venne in mente. Si toccò precipitosamente le labbra e le trovò morbide e umide. Non aveva sete, nemmeno il minimo accenno. Fame sì, quella c'era, ma era come un forte appetito, niente di simile alla sensazione che ricordava. Se solo fosse riuscita ad aprire gli occhi! Ma tutto ciò che riguardava la testa faceva fatica a riprendersi, ancora. Il senso di pesantezza era lo stesso. Doveva aspettare.

cos'è successo?

stavo morendo, cos'è successo?

Tirò su le ginocchia e si tastò il piede: era stato bendato, un lavoro fatto bene, chiuso con un nodo invece che con una graffetta.

perché la graffetta la potrei usare

Mentre aspettava che la testa raggiungesse il corpo si mise in ascolto. Non sentiva niente. Né l'uomo nudo né i colpi o il sibilo. Silenzio, un silenzio irreale. Con due dita si sollevò le palpebre, ma vedeva solo macchie. Ci vollero almeno venti minuti perché riuscisse a ruotare su un fianco, verso il fondo della gabbia. Gli occhi gonfi fecero fatica a distinguere gli oggetti nella penombra, ma erano tutti lì. Una ciotola di un materiale che non sembrava plastica e un cartoccio gonfio e unto. Anna allungò la mano fino a toccare la ciotola che non era una ciotola. Era uno stampo per dolci in silicone a forma di stella, pieno d'acqua. Nel cartoccio c'erano avanzi di pasta, di carne, di verdura, sembrava il contenuto di un cestino delle immondizie dell'autogrill. Anna si portò una manciata di tutto alla bocca e rimase sorpresa dal sapore buonissimo, niente di rancido o di stantio.

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