XIV

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Aveva mai conosciuto un ragazzo di nome Saverio? Aveva mai respirato il suo odore acre di prigioniero mentre si baciavano attraverso due spranghe di ferro? Aveva mai sentito l'eco di uno sparo mentre lui tentava disperatamente di fuggire, nudo, in una notte di dicembre?

Non è mai successo.

Era arrivata a questa conclusione, ancora avvolta nel torpore.

Se non mi sveglio posso crederci per sempre.

Ma la luce aveva insistito, morbida e affettuosa, mai eccessiva sul lato Nord. Il risveglio era stato nauseante, prima in gola, poi in mezzo alle gambe.

Non mi ha pulita. Non mi ha pulita, mentre dormivo.

Era così. Il sangue aveva continuato a defluire, incrostandosi sul peli del pube e scendendo a stagnare lungo le cosce. L'odore era inconfondibile e prima ancora di aprire gli occhi Anna era stata certa di essere sporca fino alle ginocchia. Ma il fastidio maggiore lo aveva in gola, un gusto amaro, di medicina. Inghiottì due volte ma non se ne andava.

Devo bere.

E quanto ci scommetti che lo stronzo non mi ha lasciato acqua?

Voltò la testa, il fieno spinoso faceva resistenza. Allungò piano la mano destra fino a toccare la ciotola in silicone, piena fino all'orlo.

L'avrà avvelenata.

Chi se ne frega.

Infilò dentro due dita, poi se le portò alla bocca e le succhiò, ripetendo il gesto altre due volte. Non si rassegnava ad aprire gli occhi su un mondo privo di Saverio, eppure le sembrava già di non riuscire a ricordarlo pienamente, quanto era alto? Era biondo oppure castano? La sua voce era più acuta o più profonda?

Ha importanza?

Sì, ce l'aveva.

Per primo rivide il soffitto di legno. Cercava ancora di individuare la sagomatura dello sportello o quell'accidente che era, ma sembravano tutte assi compatte. Si voltò verso la ciotola e vide che il sacchetto di cibo lì accanto era molto più grande del solito e anche molto più macchiato. Si attaccò con l'indice al bordo e lo abbassò. In cima a tutto c'era una massa scura, praticamente nera.

E' la mia merda.

No, ma quasi. Era un fegato bollito, o un polmone bollito, comunque frattaglie.

Almeno sono cotte. La prossima volta mi lascerà degli intestini di pollo crudi.

Da piccola sua mamma aveva insistito sempre con quella balla del fegato che una volta alla settimana ti fa bene, e lei lo masticava e lo masticava, poi quando sua madre non la vedeva lo sputava nel tovagliolo e se lo nascondeva nelle mutande. Oggi il fegato di sua madre le sarebbe sembrato buonissimo, mentre l'odore di quella roba era nauseante.

Ma lo mangerò. Lo mangerò perché voglio vivere.

Terminò la torsione del busto, rimase in equilibrio su una spalla, poi mise la mano a terra e cominciò a spingere per tirarsi su. Faceva moltissima fatica a respirare, e il gusto amaro le tornava in gola. La tosse invece sembrava essere del tutto passata.

Sono solo debole. E' il ciclo.

La gambe erano tutte nere, il sangue secco mescolato a quello fresco aveva creato una crosta simile a una corazza da creatura marina, sembravano squame.

Ma che cazzo penso?

Di buono c'era che si poteva grattare via. Si mise seduta e ci provò subito con discreto successo, prima di voltarsi a guardare fuori dalle sbarre. Smise subito di pensare al sangue. I due carrozzoni erano vicinissimi al suo, meno di due metri. Lui li aveva staccati dalla parete e portati avanti, perché il suo non si era mosso, la distanza dalle finestre era sempre la stessa. Quello di destra era verde, il colore più acceso visto fino a quel momento, con un bel bordo dorato a riccioli. L'altro era di una specie di arancione, con i bordi ripassati di nero alla bell'e meglio. Lì, vicino alla striscia scura, un uomo magrissimo dormiva seduto, la testa crollata in avanti, i pochi capelli a corona intorno alla testa, di un nero altrettanto marcato, nemmeno un'ombra di grigio. Ma il corpo raccontava un'età ben precisa, oltre i cinquanta, la pelle intorno ai capezzoli floscia, la pancia prominente sotto le costole, i piedi entrambi con l'alluce valgo.

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