XIII

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Eppure era certa che li avesse addormentati.

Non era successo niente, avevano atteso la punta ogni notte, i pugni sul fondo della gabbia, la merda che tornava al mittente, e invece zero, gli ultimi giorni erano stati i più belli da quando Anna si era ritrovata lì dentro. Lei e Saverio avevano parlato di un sacco di cose, ma l'argomento Maria non era più saltato fuori. Avevano perso interesse per le scimmie, solo ogni tanto le insultavano, ma non c'era gusto perché i quattro restavano nascosti dietro alla paglia e non reagivano. Giocavano con la treccia, la facevano dondolare come due bambini, ridevano, ridevano molto.

La pagheremo, tutta questa felicità.

pensava Anna, senza soffermarsi sull'enormità del termine. La settimana era finita con ancora un avanzo di cibo e di acqua, avrebbe potuto sopravvivere senza sforzi per un altro giorno intero, era diventata bravissima. Si era addormentata avvolta da questa fierezza, e quando aveva provato ad aprire gli occhi, la luce già forte davanti alla gabbia, aveva avuto la certezza di essere stata narcotizzata, nel frattempo. Ma aveva la sensazione, invece, di trovarsi sempre nello stesso punto, lato nord, centrale rispetto alla fila di finestre là in alto.

Non ci ha spostati.

Perché?

Le palpebre si erano sollevate, la vista era ancora annebbiata ma una cosa la vide subito, lei era nella stessa posizione di prima, ma il carrozzone davanti era cambiato.

Non può essere.

La gabbia scrostata, tozza, forse un tempo gialla oppure verde. La gabbia di Saverio.

Lo ha ucciso. Lo ha ucciso e me lo ha messo davanti per farmi soffrire.

Aveva fatto per tirarsi su, ma era troppo presto, si mise a strisciare, dieci centimetri alla volta, la voce che le usciva stentata, quasi un soffio

«Saverio.»

e ne aveva intuito la sagoma appoggiata sulla paglia, alcune parti ricoperte, un braccio abbandonato di lato.

«Saverio!»

aveva alzato appena la voce ma sapeva che non sarebbe servito comunque, gli altri, tutti gli altri si svegliavano sempre dopo di lei. Arrivò alle sbarre, si addossò con la schiena alla parete di sinistra, appoggiò la testa al metallo e lo guardò, sperando di avere recuperato tutti i propri dieci decimi. Era lievissimo, ma un movimento della cassa toracica c'era.

Forse lo ha mandato in coma. Gli ha dato un'overdose di narcotico e resterà lì, come il Bello Addormentato in attesa di un bacio che non potrò dargli. Finché morirà.

Lasciò che la paranoia continuasse a darle morsi e si voltò verso il fondo della propria gabbia, pronta a valutare l'assenza di cibo e acqua, e ciao ciao Anna. Il sacchetto di cibo c'era, l'acqua pure.

Non mi ha punita.

Non è vero, vedrai che il sacchetto sarà pieno di merda, la mia e quella delle scimmie.

Controllando con la coda dell'occhio Saverio si spostò di nuovo verso il fondo e prese il sacchetto. Pan carrè, ancora morbido, prosciutto e in fondo in fondo qualcosa di inatteso, pomodori secchi. Il sacchetto era pesante, sembravano più delle scorte per una settimana. E comunque niente merda.

Non può non avermela fatta pagare.

Guardò dall'altro lato del proprio carrozzone e quello che vide la rincuorò: la gabbia non era stata pulita. Anzi, alcuni dei pezzi che aveva lanciato alle scimmie erano lì, nell'angolo latrina, tornati alla base.

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