XVII

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Ti prego, fai che non abbia pulito. Fai che le schegge siano ancora dove le ho incastrate, fai che non si sia accorto di niente.

Per la prima volta aveva atteso il risveglio e l'unico pensiero non era stato di disperazione. Gli ultimi giorni erano assomigliati a un circo più del solito, Anna aveva provocato le scimmie, soprattutto lo Sfigato, che la stava a sentire. La Petite difficilmente usciva dalla paglia e la Bionda si rivaleva di continuo sul Grigio, ma gli occhi dello Sfigato erano tutti per lei. Lo aveva invitato a tirare la merda contro la compagna nascosta e aveva fatto altrettanto, ridendo e urlando perché la scena non passasse inosservata. Mentre fuori era volgare e scomposta dentro di sé Anna aveva recuperato gran parte di quella freddezza che tante volte aveva fatto la sua fortuna. Ogni escremento lanciato comportava la punizione di non pulirle la gabbia, che era esattamente quello che voleva.

Devo continuare a farlo, devo farmi punire ogni settimana.

Aveva preso le misure sullo spessore del carrozzone, valutando che il suo dito mignolo era largo circa un centimetro e che aveva usato diversi fili di paglia per prendere e riprendere la misura aveva ventidue centimetri che la separavano dal pavimento di cemento. Le ruote sollevavano il carrozzone per meno di un metro ma aveva spazio da buttare per scivolare lì sotto e scappare, quando avesse fatto un buco.

Una cosa alla volta, niente entusiasmi.

Fin dall'università era stata metodica nello studio, doveva acquisire una competenza prima di poterne sviluppare una seconda. Il piano era quello, certo, scavare un buco nel legno partendo dal punto in cui era marcito a causa dei liquami suoi e di Mino, passarci attraverso e scappare, ma il percorso per arrivare lì era molto lungo.

Per prima cosa devo capire di che apertura avrò bisogno.

Un conto era misurare lo spessore del carrozzone e un altro era quello di capire le proprie, di misure. Era molto dimagrita, valutava di essere sui 45 chili circa, ma le ossa avrebbero comunque rappresentato un ostacolo.

Non mi devo preoccupare delle spalle o delle costole più basse, posso spostarmi, calcolare come infilarmi, cosa prima, cosa dopo. Il problema è il bacino e le costole più alte.

Sapeva che quelle potevano anche spezzarsi, un suo amico se ne era rotte tre e comunque usciva a cena tutte le sere, sopportano il dolore

prendeva dei farmaci

e limitando i movimenti. Il bacino era la misura indispensabile, doveva passare con quello. Appoggiando i pollici sul punto di sporgenza massima riusciva a far incontrare le punte delle dita.

Trenta centimetri, trentacinque con quel poco di carne che mi resta.

La misura definitiva era di un buco di trenta per venti per venti. In realtà non sarebbe stato sufficiente, ma era un inizio. Tutto questi calcoli erano rimasti nella sua testa, elaborati nottetempo nell'angolo in cui dormiva, perché alla latrina non osava avvicinarsi finché c'era Vasco lì con lei. Non aveva paura del corpo che iniziava a cambiare ma del fatto che stargli vicina a lungo avrebbe potuto destare sospetti.

Non posso lavorare finché ho il cadavere tra i piedi.

La speranza era che glielo avrebbe tolto di torno. Certo, una buona punizione sarebbe stata lasciarlo lì a marcire vicino a lei, ma Anna era abbastanza certa che Vasco non parlasse a vuoto, quando diceva che Lui aveva un debito nei suoi confronti.

Non lo ha scelto. Era il peggiore, qui dentro

- davvero?-

ma non lo ha scelto. Quindi gli deve almeno una sepoltura.

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