Me ne stavo in camera mia, sdraiata a pancia in giù sul letto. Era agosto; faceva molto caldo, nonostante il Sole fosse già calato da un pezzo e il ventilatore in funzione stesse generando un rinfrescante venticello nel suo fisso muoversi da destra a sinistra, scompigliandomi malamente i capelli, donandomi un aspetto trasandato e scomposto, come la mia postura in quel momento. Dalla finestra aperta penetrava una fievole luce, nata dal lampione che si elevava per una decina di metri all'altro lato della strada.
Spensi la luce, dopo aver passato le ultime due ore a leggere avidamente uno dei miei libri preferiti per l'ennesima volta. Chiusi il volume, andando a coprirmi la bocca per nascondere un poco elegante sbadiglio; riposi il concentrato di parole ed emozioni sullo scaffale, in mezzo alla fila che mentalmente l'avevo impostata "dei preferiti", ognuno dei quali frutto di un'accurata selezione avvenuta in ore e ore di maniacale ricerca passate accollata a quella prima pagina che introduceva il mondo immaginario costruito dall'autore, facendo attenzione a non strisciare il pezzo sullo scaffale per non rovinarne le pagine né la variopinta copertina.
Mi addormentai molto velocemente, probabilmente per aver stancato troppo gli occhi e la mente dopo l'assidua lettura, e iniziai a viaggiare con la fantasia in luoghi lontani, oltrepassando quel confine che divideva realtà da un'illusoria utopia.
Sognavo di volare, librandomi libera nell'aria sopra la grande metropoli Newyorkese e poi perlustrando le vaste pianure asiatiche e i folti boschi scandinavi, perdendomi nella fitta vegetazione, saltando di ramo in ramo con l'abilità di un ninja –o di una scattante scimmia, avrebbe scherzato mio padre. Sognavo poi di combattere, per cosa non mi era dato sapere, spesso però l'obiettivo ripiegava su qualche amica, ospite a sorpresa delle mie proiezioni oniriche, dalla prigione di qualche psicopatico criminale.
Una volta, lo ricordavo bene, uno dei luoghi di prigionia in questione era un covo dell'Hydra, la temuta organizzazione risalente alla Seconda Guerra Mondiale delle storie fumettistiche sui supereroi, dovei era infiltrata assieme a qualche rinomato X-men, anch'essi in realtà solo dei comunissimi attori hollywoodiani, o della volta in cui mi ero trovata faccia a faccia col Dottor Octopus mentre ero nelle vesti di un'aitante Spider-girl allo scopo di proteggere la mia famiglia dalla tirannia del criminale tentacolare.
Ciò che più mi stupiva era proprio questo: tutte le mie illusioni notturne non erano altro che quello che apparivano, sogni irrealizzabili, ognuno dei quali si ricollegava indiscussamente alla Marvel e a quei tanto idolatrati eroi di cui ammiravo in continuazione le inventate gesta in quelle spettacolari rappresentazioni cinematografiche.
Davvero bizzarro, pensavo, ma in fondo non chiedevo altro: mi rendeva la vita più esaltante compiere grandiose imprese almeno in quel posto esclusivamente mio, perché la realtà era dolorosa come un pugno allo stomaco e assolutamente schifosa come la brodaglia con cui si sfamavano i senzatetto, ma il peggio era la monotonia. La mia vita era grigia, se non per quelle concessioni che mi regalavo per non annoiarmi; non ero nessuno, solo una piccola ingenua umana appassionata di fantascienza ed eroi, nulla più. Non ero l'animo della festa, quella persona che tutte in classe ricercavano per la sua solarità e grinta; ero quella ragazza che passava quel quarto d'ora di ricreazione con le consuete tre ragazze ogni giorno; ero quella ragazza solitaria e riservata che preferiva fare l'asociale –o come talvolta apparivo ad occhi esterni, di coloro che non mi conoscevano, la superiore- anziché inserirmi in inutili battibecchi fra galline urlanti, come le definivo amichevolmente, o scervellarsi per ricordare come si chiamasse quel cosmetico o quell'altra marca o ancora quella nuova borsa che ora tutte volevano comprarsi.
Io apparteneva a quella categoria di soggetti che vivevano di fantasia, sopravvivevo grazie ad essa, e di realtà inesistenti e abilità e poteri che mai e poi mai sarebbero esistiti, perché rifiutavano la legge universale della normalità. Era un sogno irraggiungibile il mio: essere speciale non era parte di me, o almeno così pensavo, perché quando ormai finivo per ricercare ciò che non avevo ed essere ciò che non ero nella mia immaginazione, accadde l'impensabile. Oltre i limiti del possibile e del plausibile, contro ogni legge matematica o spiegazione scientifica, io divenni ciò che avevo sempre sperato: qualcuno di cui tutti avevano bisogno, la spalla su cui piangere, l'appoggio di cui necessitavano; divenni quella che salvava sempre la situazione, la salvatrice del mondo, qualcuno il cui nome era sulla bocca di tutti. Non cercavo notorietà, mi andava a genio la mia invisibilità, fino ad un certo punto s'intende, ma certo era che aspirassi a un minimo di riconoscenza per quei piccoli gesti di altruismo che facevo e di quelle piccole vittorie personali che nessuno notava, come quando segnavo un punto a pallavolo per quel pizzico di bravura che possedevo e non semplicemente per la mia abituale fortuna sfacciata.
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Marvel: AVATAR - La custode dell'universo TEMPORANEAMENTE SOSPESA
FanfictionIlaria è una ragazza normale che vive a Verona con la sua famiglia. A differenza delle sue compagne di classe non le importa niente dei trucchi e dei vestiti, perché il suo unico interesse sono i film sui supereroi. Già, è una nerd. Quello che però...