La luce pensa di viaggiare più veloce di qualsiasi altra cosa, ma si sbaglia. Per quanto la luce viaggi veloce, quando arriverà, scoprirà che il buio è arrivato prima, ed è lì ad aspettarla
- Terry Pratchett--
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-Correvo, ma non avevo una meta. Il fiato corto, il viso segnato dalla stanchezza, le gambe deboli. I passanti mi guardavano, alcuni preoccupati, altri diffidenti, ma non mi importava. L'unica cosa realmente importante, in quel momento, era correre. Non importava nemmeno il fatto che non sapevo dove andare. Per un attimo mi fermai, cercando di riprendere fiato. Si saranno accorti della mia fuga? Mi cercheranno? Riusciranno a trovarmi?
Dubbi e domande mi invasero la mente, gettandomi in uno stato confusionale. E Sophia? Se la sarebbero presa con lei? Rabbrividii al pensiero di quella povera ragazza punita per una mia insubordinazione. Scossi la testa, non mi potevo permettere questi scrupoli... non qui, non adesso. Mi guardai intorno, cercando di capire dove fossi: i finestrini scuri della limousine di Styles mi avevano impedito di rendermi conto del percorso intrapreso. La strada era affollata, le persone camminavano con la solita fretta che caratterizza le gradi città americane, con lo sguardo perso nel vuoto. In quel quartiere c'erano molti negozi, per lo più di abbigliamento ed elettronica... mi girai, per puntare lo sguardo sull'altro lato della strada: una caffetteria si ergeva alla mia destra, l'insegna luccicava luminosa, nonostante fosse giorno... e poi un particolare attirò la mia attenzione: lontano dalla mia vista, probabilmente a qualche chilometro di distanza, potevo scorgere la punta di un grande grattacielo , che risplendeva nel sole pomeridiano... Bingo! Ero a St. Jude, nel Lexinghton! Soddisfatta ripresi a correre, cercando di non dare troppo nell'occhio... speravo con tutta me stessa che quei bastardi non riuscissero a scorgermi tra la folla, altrimenti sarebbe finita. Poco più avanti al punto in cui mi trovavo io potei scorgere un piccolo concentrato di persone, tutte ferme nello stesso punto, come in attesa di qualcosa o qualcuno... fermata dell'autobus!
Appena mi resi conto di quel piccolo particolare, vidi un pullman fermarsi proprio in quel punto... da quella distanza non riuscivo a scorgere dove portasse il mezzo, ma mi misi lo stesso a correre: dovevo assolutamente andare via da lì...
Mi guardai alle spalle, e con orrore denotai che gli uomini che avevano scortato me e Sophia al centro commerciale si erano accorti della mia fuga... se ne erano accorti perché in quel momento erano a poche centinaia di metri da me, i visi torvi e concentrati, e si facevano strada tra la folla. Per un attimo rimasi ferma, paralizzata dal terrore, incapace di muovere un solo muscolo... tuttavia, quando vidi i loro occhi mettere a fuoco la mia immagine, ripresi a correre, cercando di arrivare prima di loro alla fermata dell'autobus che, fortunatamente, era ancora fermo. Correvo, correvo per la mia vita, per avere la possibilità di riscattare la mia umanità dai soprusi di quei bastardi, animali senza sentimenti e senso del dovere, e niente mi avrebbe impedito di lottare per un diritto a cui tutte le persone, nel bene o nel male, hanno diritto.
La libertà.
Vidi l'autobus muoversi, segno che stava riprendendo la sua corsa, e presi a sbracciarmi, a gridare al conducente di fermarsi, sperando che la fortuna fosse dalla mia. In poco tempo arrivai alla fermata, e battei le mani sul vetro del mezzo, per chiedere all'autista di aprire la porta. Mi guardai alle spalle, erano vicini, troppo vicini...
Stavano per raggiungermi, ero già pronta ad arrendermi, quando gli sportelli si aprirono e io, sconvolta e senza fiato, mi precipitai a salire.
- Per carità, chiuda quella porta!!- gridai disperata al conducente...mi avevano quasi raggiunta, tra poco sarebbero potuti salire anche loro... Ma, inaspettatamente, l'autista fece come gli avevo detto, senza fare domande né guardarmi, e io sospirai, sollevata... ce l'avevo fatta, ero riuscita a fuggire...
Per qualche istante il mio unico pensiero fu quello, mentre mi facevo strada nel corridoio dell'autobus, ignorando le occhiate confuse che le persone a bordo mi lanciavano. Mi sedetti su un posto vuoto, rannicchiandomi sul sedile , terrorizzata. Perché la mia mente iniziò ad analizzare troppo precocemente la situazione in cui mi trovavo: ero sola, nessuno poteva aiutarmi, non avevo un soldo, né un posto dove andare... Osservando dal finestrino la strada, che scorreva sotto ai miei occhi, valutai , per una frazione di secondo, di rivolgermi alla polizia...
Scartai subito quell'opzione, ben sapendo che spesso e volentieri i carabinieri di Seattle collaboravano con i clan mafiosi della zona, in cambio di droga e denaro riciclato...
Rose... avrei potuto chiamare lei, ma me la sarei sentita di coinvolgerla nel casino in cui mi ero cacciata?
Gli occhi mi si inumidirono al pensiero di essere sola, e di dover lottare con qualcosa di più grosso di me, senza poter contare sull'appoggio di niente e nessuno... tirai su col naso, dovevo essere forte, non lasciarmi prendere dallo sconforto...
Ignorando il groppo che sentivo in gola, frugai freneticamente nella borsa, cercando il portafoglio... timorosa, lo aprii, e vidi che ciò che rimaneva dei miei risparmi erano una ventina di dollari... cosa avrei fatto, finiti quelli?
Innanzitutto dovevo pensare a dove sarei andata...
- Mi scusi, dove porta quest'autobus?- il mio sussurro era diretto a un signore di mezza età seduto al mio fianco, che, prima di rispondere alla mia domanda, mi squadrò per bene, con aria diffidente...
- A Otterley Square, cinquantesima strada- fu la sua risposta.
Ringraziai e cercai di fare mente locale: Otterley Square... non è un bel quartiere, ricordai all'improvviso. Droga, prostituzione e riciclaggio erano all'ordine del giorno ma... il posto vantava anche la presenza di numerosi motel a prezzi stracciati... i miei venti dollari sarebbero bastati per una notte... ma poi? E, di nuovo, il pensiero molesto del domani tornò ad affacciarsi alla mia mente, causandomi una fitta di inquietudine allo stomaco... magari sarei potuta tornare a Los Angeles, da mio padre. Ma se mi avessero trovata? Magari Styles si sarebbe dato per vinto e avrebbe lasciato perdere... sorrisi a quello sciocco pensiero: mi ero forse dimenticata con chi avevo a che fare? Se quel fottuto bastardo voleva qualcosa, avrebbe fatto di tutto per averla... e lo sapevo. La notte passata con lui mi tornò in mente con violenza inaudita: le sue mani sul mio corpo, i suoi baci violenti, i suoi ansiti sfacciati... e le parole che mi aveva rivolto.
Hai perso, Evans.
Strinsi la mascella, e gli occhi mi si illuminarono di una luce di folle felicità: era lui ad aver perso, non il contrario. Io ero scappata, avevo resistito alla sua forza, alle sue innumerevoli violenze psicologiche e, perché no, anche alle lusinghe, che a volte hanno il potere di colpire dove la forza non potrà mai.
Una frenata brusca mi riportò alla realtà: eravamo arrivati al capolinea, era ora di scendere. Con un sospiro tremante mi alzai, avviandomi verso l'uscita dell'autobus. E, appena le porte si schiusero con un sordo rumore metallico, una folata di vento mi colpì in pieno viso, scompigliandomi i capelli. Chiusi gli occhi, inspirando profondamente, per assaporare quell'odore... l'odore della libertà.
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Lo Start Gwed Pairing era un motel davvero squallido.
Alto tre piani, si affacciava da un lato sulla stazione della metropolitana, che passava ininterrottamente, ad ogni ora del giorno e della notte, facendo tremare i muri della stanza che avevo preso in affitto. L'altro lato dell'edificio dava su una strada piuttosto ampia, di notte molto trafficata. Mi affacciai alla finestra, accendendo una sigaretta che ero riuscita a scroccare al gestore delle camere, che si era lasciato abbacinare dallo sguardo languido che gli avevo lanciato, quando mi aveva consegnato la chiave della mia stanza.
Uomini...
Osservai la strada, a quell'ora della notte popolata da prostitute e spacciatori. Le prime erano in una posa innaturalmente statica, le gambe in bella mostra, i vestiti corti e appariscenti. Analizzavo con minuziosa attenzione il modo in cui, di tanto in tanto, si scostavano i capelli dal viso, trasformando quel semplice gesto in una mossa sensuale e maliziosa. Gli spacciatori, invece, si aggiravano per la strada furtivi, vestiti con il solito cappellino nero e gli abiti larghi e informi, guardandosi attorno assiduamente.
Sospirai, aspirando un tiro. Il sapore del tabacco bruciato mi raschiò la gola, causandomi una strana sensazione di benessere momentaneo.
In che razza di zona ero capitata? Certo, era il massimo che mi potevo permettere - la stanza mi era costata a malapena dodici dollari... - ma non potei evitare di deprimermi al pensiero che, a pochi chilometri di distanza, io avevo una casa che, calda e accogliente, aspettava soltanto di dare il benvenuto alla sua vecchia proprietaria...
Il bussare frenetico alla porta interruppe i miei pensieri, e mi voltai verso l'uscio , spaventata.
Che fossero... che davvero fossero riusciti a trovarmi? Impallidii, cercando di respirare regolarmente, mentre il rumore sordo del legno che tintinnava si faceva più intenso, veloce, affrettato...
Mi schiarii la voce, cercando di prendere coraggio e controllare il leggero tremolio che incrinava il tono.
- Chi è? - il mio fu poco più di un sussurro, ma sperai comunque che mi avessero sentita.
TOC TOC. Il mio cuore perse un battito, per poi riprendere ad un ritmo forsennato.
TOC TOC. Tremante, mi avvicinai all'uscio, gli occhi sbarrati e il terrore dipinto in volto.
TOC TOC. La porta era vicina ormai, e io non potevo più tergiversare con la paura che, spietata, mi aveva attanagliato le viscere.
TOC TOC. Dovevo soltanto affrontarla...
TOC TOC.
- Chi è? - questa volta mi imposi di alzare il volume della voce, facendo si che, chi si trovava dall'altra parte dell'uscio, mi sentisse.
Silenzio.
Sapevo cosa significava quel silenzio ma ,in qualche modo, avevo sempre sospettato che non sarei riuscita a sfuggirgli...
Silenzio. Un silenzio carico di attesa.
E poi...
- Signorina Evans, sono Pete, il gestore. Sono venuto a portarle le lenzuola pulite..- la voce burbera del proprietario del motel mi fece quasi crollare a terra dal sollievo. Mi aggrappai allo stipite della porta, non ero mai stata così spaventata in vita mia...
Per qualche istante chiusi gli occhi, godendomi la sensazione di benessere che aveva invaso corpo e mente al suono di quella voce.
Poi mi raddrizzai, ricordandomi che l'uomo stava continuando a bussare e a chiamarmi, e guardai lo spioncino della porta, per vedere se fosse realmente lui, e non uno scherzo della mia fervida immaginazione.
Vidi il suo viso, dal buco della porta, e sorrisi: era una delle persone più burbere e trascurate che avessi mai visto, ma sembrava simpatico...
Le dita delle mani tremavano ancora ma, imponendomi di stare calma, aprii la porta, facendo scattare la chiave nella serratura.
SBAM!
All'improvviso, senza rendermene nemmeno conto, venni violentemente sbattuta a terra, mentre un rumore assordante riempiva lo spazio angusto della stanza.
Gemetti e mi sfiorai la fronte, dolorante per il colpo appena ricevuto: qualcuno mi aveva sbattuto la porta contro con tale violenza da farmi sanguinare. Cercai di aprire gli occhi, mentre la mia mente era invasa da un unico, terrificante pensiero: mi avevano trovata.
Il vociare si interruppe all'improvviso, ma io ero ancora a terra, mentre sentivo l'odore ferroso del sangue invadermi le narici.
Qualcun altro, oltre quegli uomini, era entrato nella stanza.
Aprii gli occhi, e mi scontrai con due pozzi verdi dalla bellezza struggente.
Quegli occhi erano incatenati ai miei, e mi scrutavano con un intensità terrificante. Mi fissavano con rabbia, rancore, delusione, un mix ipnotico.
All'improvviso le lacrime di sconfitta mi riempirono gli occhi, non potevo più trattenerle. Le lasciai scorrere sulle mie guancie, mentre la mia anima si frantumava in mille pezzi.
Avevo combattuto, e perso. Mi aveva trovata, di nuovo, e io non potevo far nulla, se non cedere alla sua brutalità. Questo pensiero mi fece impallidire ancora di più, e un singhiozzo mi sfuggì dalle labbra. Chiusi gli occhi, riversa a terra come uno straccio, in balia del suo volere, dei suoi desideri, del mio dolore.
Sentii uno spostamento d'aria, e un calore effimero si propagò nel mio debole corpo, quando, aprendo gli occhi, notai che Styles mi aveva sollevata e presa in braccio, facendomi appoggiare la testa contro il suo petto. Era un gesto quasi tenero, ma sapevo che la mia era soltanto un illusione: me l'avrebbe fatta pagare, ne ero perfettamente consapevole. Ma non avevo la forza di ribellarmi, di gridare, di respingerlo. Non più.
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Note Autrice.
Hi Everyone!Due capitoli in un solo giorno, MIRACOLO!
Spero di avervi rese felici.
Anyway, spero che questo capitolo sia di vostro gradimento, come sempre.Se vi è piaciuto lasciate una stellina o semplicemente un commento, mi piacerebbe leggere un vostro parere riguardante la storia.
See you soon, girls!
-M.
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Take me into your loving arms.
Fanfiction«Loro due erano troppo strani per amarsi. Erano l'opposto. Il caldo e il freddo,la gioia e la rabbia, l'amore e l'odio, il bene e il male, la notte e il giorno. Erano cosi diversi,ma nello stesso tempo cosi uguali. Erano troppo per amarsi e troppo p...