Capitolo 4

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I respiri e gli ansiti della donna invadevano l'aria, già carica di tensione.
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Le sue grida, eco del dolore sordo che provava dentro, infrangevano la quieta rassegnazione dell'uomo accanto a lei.

Le lacrime, gocce di perla versate su un cielo privo di stelle, si infrangevano sulla sua coscienza.

Ad un peccato così grande non potrà mai fare ammenda.

Il suo dolore, l'agonizzante sofferenza scaturita da quel colpo di pistola, non le avrebbe mai dimenticate. Mai.

La fissava, immobile, il cuore freddo improvvisamente risvegliato dalla sua lenta agonia.

Non poteva consolarla, lenire i suoi tormenti.

Non poteva e non doveva.

Un breve cenno del capo fu tutto ciò che fece, mentre i suoi seguaci, alla sua silenziosa richiesta, sorreggevano la fragile donna alle sue spalle.

Non la guardò nemmeno, lasciò la stanza, ma l'eco delle grida invadeva ancora il suo cuore.

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Vuota, persa in un torrente di sensazioni estranee, osservavo ciò che mi circondava. Dopo giorni di agonia, in cui il dolore, lento e tortuoso, mi aveva graffiata con le sue potenti spire, non avevo ancora trovato una buona ragione per reagire. Seduta in un letto sconosciuto, per la prima volta analizzavo per davvero la mia breve, patetica vita. Ero forte, lo ero sempre stata. Questo era ciò che credevo. Ma le menzogne vengono a galla. Sempre. Non si può vivere di mere illusioni. Perché queste, con la lentezza esasperante di un sospiro represso, ci logorano dentro, confondendo ai nostri occhi il debole confine tra realtà e finzione. Io non ero forte, non lo ero mai stata. Alla minima difficoltà, al più piccolo intralcio, ero crollata in un immenso oceano di disperazione. Ma non potevo negare a me stessa la più palese delle verità: un uomo era morto davanti ai miei occhi.

Un uomo era morto e io non avevo la forza per sopportare un simile peso, un tale fardello. Un uomo era morto ed io, stesa su un soffice letto sconosciuto, non potevo non pensare al peso di quella vita sprecata, all'atto di umana carità che gli era stato negato. Il suo spirito mi perseguiterà a vita. Vedrò sempre i suoi occhi, accecati dal dolore. Un' attimo c'era, quello dopo era sparito. Tutto ciò per la volontà di un uomo che di umano non aveva nulla, se non le angeliche fattezze incarnate in un corpo. Un uomo che, con sorda arroganza, si è preso la libertà di scegliere per la vita di un ragazzino. Di segnare inevitabilmente il suo destino. Così come segnerà il mio.

In questa settimana, in cui il mio cuore è stato preda dei tormenti più atroci, mi è venuto spesso a trovare. Di notte, quando pensava che dormissi. Come poteva anche solo presumere che dopo ciò che avevo visto, avrei potuto chiudere gli occhi? La sua immagine agonizzante mi perseguitava giorno e notte, senza tregua. Non avevo la forza per reagire. Né la volontà. A cosa sarebbe servito? Mi avrebbe uccisa lo stesso, perché non gli avrei mai dato ciò che voleva. Mai. Quindi non è forse meglio attendere la fine in un letto, senza mai uscire, senza voler vedere nessuno?

Arriva una donna, un'altra delle sue sgualdrine. Mi guarda, nei suoi occhi vedo tanta compassione. So cosa vede. Una bambina. Una bambina dalla bellezza banale, un fiore appassito tra le spire dell' inferno. Occhiaie profonde mi circondano il viso scarno, provato dalle tante notti insonni e dal rifiuto di cibo.

Indosso una leggera vestaglia, la seta è pregiata, ma cerco di pensarci il meno possibile. Perché non mi appartiene. Appartiene a lui, l'uomo che con tanto disprezzo mi ostino ad odiare. Il mio fragile corpo è troppo debole persino per muoversi, nonostante l'inquietudine mi opprima.

Take me into your loving arms.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora