One Shot: Sotto la pioggia

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Correva.
Correva per le strade costantemente affollate di Londra. Correva sotto la pioggia. Correva con la mente occupata da una parola, semplice nella sua forma ma così significativa per lui.
John.
Era raro che Sherlock Holmes si preoccupasse per qualcuno. Ma quel qualcuno era una persona importante, una persona che amava.
Ripercorse mentalmente ciò che era successo pochi minuti prima, nel comodo salotto del 221b di Baker Street.

Era seduto sulla poltrona, intento a fissare il muro davanti a se, assorto nei suoi pensieri. Quasi non si era accorto dell'assenza di John. Riesaminava il suo ultimo caso, risolto ormai da un paio di settimane, con le mani giunte sotto il mento e le gambe accavallate.
Dietro a quel caso si nascondeva un'organizzazione criminale. Avevano arrestato il capo, ma in giro c'erano ancora parecchi "pesci grossi e pericolosi".
"Voi due siete in pericolo". Aveva detto Lestrade.
"Ce ne faremo una ragione" aveva risposto John.
Il telefono iniziò a suonare. Era indeciso se rispondere o meno. Non voleva riscuotersi dalle sue riflessioni per colpa di un qualche intervento noioso. Però era possibile che fosse interessante. Magari era Lestrade che aveva un caso per lui.
Si decise a tirare fuori dalla giacca il suo cellulare. Guardò il nome incima alla chiamata.
John.
Non poteva non rispondere. E se fosse successo qualcosa di male? Non lo avrebbe mai sopportato.
-John.-
-Sherlock.-
Era bastato il suo tono ad allertare il detective. Era sofferente. La paura era così evidente che avrebbe potuto toccarla.
-John. Dove sei?-
-Wayward Street.-
Non troppo lontano. Sarebbe andato a piedi. Un taxi ci avrebbe messo troppo tempo. E lui non ne aveva abbastanza, di tempo.
-Sto arrivando-

Non voleva neanche immaginare cosa avrebbe trovato. Sperava di essere ancora in tempo. Non era da lui preoccuparsi in questo modo ma, anche se non l'avrebbe mai ammesso in una situazione del genere, si era sempre sentito attratto da John.
Era l'unica persona che aveva trovato qualcosa di buono dietro quella maschera impassibile che ogni giorno indossava.
Sherlock era sempre stato definito in vari modi da tutte le persone che incontrava.
Diverso, lo definiva Mycroft.
Strano, lo definivano i compagni di classe.
Psicopatico, lo definivano le persone.
Fantastico, lo definiva John.
John era riuscito ad eliminare almeno in parte quella maschera fredda e distaccata. Era riuscito a trovare la sua parte migliore.

Svoltò l'angolo di Wayward Street con il respiro affannoso. Rallentò il passo e si tastò la tasca del giubbotto alla ricerca della pistola che, grazie al cielo, si era ricordato di portare.
La impugnò con entrambe le mani e si avventurò nei vicoli più remoti della strada.
Aveva quasi perso le speranze quando una figura di un uomo distesa a terra attirò la sua attenzione. Si avvicinò con il cuore in gola.
Si accovacciò accanto all'uomo per vedere il suo volto.
Il cuore di Sherlock mancò un battito alla vista della faccia gonfia e ricoperta di sangue del dottor Watson.

-John.- La sua voce era poco più di un sussurro strozzato, non trovava la forza di parlare.

-Ciao, Sherlock.- Lo aveva appena salutato? Solo John era capace di salutare in una situazione del genere.
Sherlock fece passare un braccio sotto la sua schiena e sorresse delicatamente il corpo di John.
Il suo sguardo cadde sulle mani del dottore che erano chiuse sopra lo stomaco. Con la mano libera gli prese prima un polso, poi l'altro per vedere ciò che coprivano.
La maglietta grigia era inzuppata di sangue, con un piccolo foro sulla pancia.
Era l'inconfondibile foro di una pallottola.

-Come... Come é successo?- Il detective guardò il suo collega con uno sguardo carico di preoccupazione. Era grave. Non capiva come John potesse essere ancora vivo.

-Mi hanno accerchiato- ogni parola pronunciata dal dottore sembrava costargli uno sforzo immane.

-I seguaci del capo di quell'organizzazione criminale. Quello che abbiamo arrestato due settimane fa.- Continuò.
-Prima mi hanno picchiato. Poi uno di loro ha tirato fuori la pistola.-
Sherlock non riusciva a crederci. Il groppo in gola che gli si era formato gli impediva quasi di parlare.
Si schiarì la voce.

-Stai tranquillo. Adesso ti porto in ospedale.- Non sapeva come avrebbe fatto, ma l'unico pensiero che gli permetteva di non crollare era quello di tenere in vita John.
Il dottore prese il polso del detective. Non era più la presa salda e sicura che molte volte gli aveva sentito fare. Era una presa debole e tremante che spezzò il cuore di Sherlock. Il cuore che credeva di non avere. Il cuore che adesso batteva per quella figura stesa a terra.

-Sherlock...-
Il detective gli premette un dito sulle labbra.

-Non parlare John.- Disse mentre si sfilava la sciarpa e gliela premeva sulla ferita.
-Non devi affaticarti. Andrà tutto bene.-

-Sherlock.- John prese con una mano il volto di Sherlock, costringendolo a guardarlo negli occhi
L'espressione di John si rasserenò.

-É troppo tardi, Sherlock.-

-No, non é vero...-

-Sherlock. Io non ti ho chiamato per soccorrermi-
Il detective si bloccò di colpo e guardò negli occhi del suo amico, mentre i suoi si riempivano di lacrime che faticava a trattenere.

-Cosa?-

-Ti ho chiamato per farti venire qui. Volevo vedere i tuoi occhi un'ultima volta- la voce del dottore si stava facendo più flebile. Il respiro più leggero. Sherlock gli prese una mano e la strinse forte tra le sue.

-I... I miei occhi?- domandò Sherlock, che tratteneva a stento il pianto.

-Sì. E lo sai perché, Sherlock?-
Il detective scosse la testa.

-Perché ti amo.-

Sherlock fece la prima cosa che gli sembrava logica. Si avvicinò al dottore fino ad annullare la distanza fra di loro e premette le labbra sulle sue. Dopo poco, anche John si lasciò andare. Fu un bacio lungo e dolce, pieno di tutte quelle cose che non si erano mai detti. John si aggrappò con la mano al braccio di Sherlock e lo strinse. Sherlock non seppe mai quanto stettero attaccati. Ma si accorse troppo presto che la mano del dottore si era staccata dal suo braccio per ciondolare inerme. Sherlock si staccò dalle labbra del suo collega e lo guardò. Aveva gli occhi chiusi e sulle labbra aveva l'ombra di un sorriso. Il suo corpo era fermo. Troppo fermo. Accostò l'orecchio al petto di John per sentire il vuoto totale.

-Anche io ti amo, John- sussurrò debolmente prima di lasciarsi andare ad un pianto disperato, sotto la pioggia.



Angolo Autrice:
Okay, adesso potete linciarmi.

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