Capitolo 21

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Dylan.

Sono nella stanza di mia sorella, sono arrivato da circa mezz'ora ma sono entrato solo ora a causa di un dottore che mi ha fermato perché voleva parlarmi della sua situazione. Ci siamo accomodati in una stanza bianca arredata con una scrivania nera e due sedie dello stesso colore che occupammo non appena entrammo, qualche libreria e una lettiga. Ciò che mi ha detto in quella stanza mi ha spiazzato, letteralmente:

-Sua sorella rimane stabile, non peggiora ma non migliora e la sua condizione non cambia- dice serio guardando dei fogli con su il nome di mia sorella: Beatrice Vuller.

-Non vedo quale sia il problema, sembra, diciamo, stare bene...ecco - dico non capendo dove vuole arrivare.

-Ecco, vede, è proprio qui che voglio arrivare, quello che vorrei farle capire e che arrivati a questo punto, non sappiamo se sua sorella si sveglierà- dice calmo.

-Come è possibile?- chiedo subito
-avevate detto tutti che si sarebbe svegliata- i sensi di colpa mi assalgono. Se non si dovesse svegliare...io non so cosa potrei fare.

-Sono passati più di nove mesi da allora e non è cambiato nulla. L'incidente ha risparmiato lei ma non sua sorella. Lei ha sbattuto in modo violento la testa sull'asfalto provocando una grave emorragia- mi informa.

-si, so cosa ho provocato...Datele tempo, si sveglierà- dico sicuro.

-lei non ha provocato nulla signor Vuller, non è stata colpa sua, non si crei sensi di colpa che non esistono. E comunque sì, è il tempo, è proprio quello che serve. Dobbiamo ancora aspettare molto, suppongo, e se la ragazza non dovesse più svegliarsi....sapete la procedura- mi dice unendo le mani.

-sì..-annuisco ed esco. La procedura...staccare le macchine...non voglio, non devono. Il senso di colpa mi logora dentro. È colpa mia, è tutta colpa mia.

Adesso stringo la sua mano nella mia, pochi minuti fa è anche venuto a trovarla Matt e le ha lasciato una rosa. Lui non sa nulla di tutto questo e dovrò dirglielo io. Non so come, ma devo dirglielo. Sono straziato. Il medico dovrà parlare anche con mia madre, con mio padre e in qualche modo dovremmo spiegare il tutto a mia sorella Clarissa se Bea non dovesse più svegliarsi. Sarà colpa mia.

Alzo lo sguardo e vedo lei, la sua chioma di ricci scompigliati, i suoi occhi verdi che mi osservano dolcemente e il suo corpo avvolto da uno dei suoi soliti maglioni enormi, questa volta blu: Victoria. Ha i capelli sciolti e spettinati, come al solito, indossa un paio di jeans e sembra sconvolta. I nostri sguardi si incrociano per un istante e i suoi occhi si dilatano leggermente come se l'avessi colta sul fatto di un reato, si volta e incomincia a camminare in maniera veloce lungo il corridoio.

Victoria

Ho visto Dylan in quella stanza seduto vicino a quella ragazza biondissima alla quale lui stringeva la mano. Mi ha vista osservarli, mi ha beccata e colta sul fatto ma non ha fatto una piega e il modo in cui mi sono allontanata da lui mi è sembrato, come dire, scortese. Chissà forse ha sete.

Tu pensi alla sete. Non sei normale, l'ho sempre detto.

È un gesto carino...e se gli portassi una bottiglietta d'acqua? Tanto devo andare al distributore.

E poi magari entri e gli dai un bacio mentre gli consegni la bottiglietta. Assurdo, anzi, Assurda.

Non c'è niente di male nel portargli una bottiglietta d'acqua, ripeto: è un gesto carino, e a proposito del bacio...non ce ne sarà neanche uno fra me e lui.

Stupida coscienza, stupida me.

Una bottiglietta d'acqua per Dylan, un the per mio padre e uno per Jordan. Chissà perché è qui quella ragazza...che cosa mai le sarà successo? Queste domande riempiono il mio cervello e non mi permettono di allontanare il mio pensiero da Dylan.

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