Circa tre mesi dopo...«Charlie?»
Aprì un occhio, sentendosi scuotere da una manina.
«Sammy? Che c'è?»
La bambina finì di farsi la codina, già pronta per andare a scuola.
«Ti è suonata la sveglia, ma l'hai staccata.»
Charlie richiuse gli occhi, mugolando, per poi mettersi a sedere con quel poco di energia rimastogli.
«Lo zaino è già pronto?» Chiese, portando all'indietro un ciuffo ribelle andatogli a finire sugli occhi.
«No.»
Si alzò dal letto, scostando le pesanti tende, lasciando che i primi raggi di sole della giornata lo accecassero.
«Va' a prepararlo, allora. Arrivo tra cinque minuti.» Le disse, osservandola andare via, dopo un breve cenno della testa.
Prese i primi vestiti non sporchi dalla sedia - doveva necessariamente fare il bucato - indossandoli e dirigendosi verso il bagno.
Rimase imbambolato ad osservare l'acqua del rubinetto scorrere per troppo tempo, per i suoi gusti, ma quando si fu ripreso, sciacquò il viso e lavò i denti.
Non ci provò nemmeno a dare un senso a quella cosa che si ostinava a chiamare capelli, decidendo che avrebbe indossato un beanie. Tanto per cambiare, mh.
Si diresse verso le scale, ma si fermò quando notò la porta socchiusa della camera da letto.
Dio buono.
Entrò nella stanza, spalancando le tende, poco delicatamente. Anzi, cercò di fare il più rumore possibile.
Sua madre dormiva placidamente, in una posizione così scomoda ma allo stesso tempo simile alla sua, che gli vennero i brividi.
La scosse bruscamente, il tono di voce un'ottava più alto del normale.
E pensare che il suo più grande problema era parlare a voce troppo bassa.
«Mamma, devi andare a lavoro!» Le disse, abbassandosi sul letto.
La donna si limitò ad alzare il braccio, spingendo via la mano posata sulla sua spalla, per poi rigirarsi e cadere in coma per l'ennesima volta.
Ecco qui.
Punto e a capo.
«Fanculo.» Mormorò, a denti stretti.
Lei non meritava il suo interesse. La sua priorità era Sammy.
Scese velocemente di sotto, mettendo a scaldare del latte e preparando il caffè.
Sammy lo aspettava, già seduta.
Mise la bevanda fumante in un'enorme tazza, avvicinandola alla bambina, posando poi sul tavolo la confezione di cereale, confezione che venne presto afferrata da sua sorella.
Charlie si avvicinò all'unica altra persona sveglia presente in quella casa, la tazzina in mano.
«La poesia era per oggi?» Le chiese.
Sammy annuì, non azzardandosi ad alzare lo sguardo dal cucchiaio stracolmo.
Charlie prese ad accarezzarle i capelli, accennando un sorriso mal trattenuto.
«La sai, Sammy. L'abbiamo ripassata ieri sera, e sei stata una bomba. Sta' tranquilla, andrà tutto bene.»
Ovviamente, arrivò in classe in ritardo. La propria scuola non era lontana da quella di sua sorella - c'era solo un ampio cortile condiviso da entrambi gli edifici a separarli - ma una delle maestre lo trattenne, per parlargli di una qualche gita scolastica che avrebbero fatto a breve.
Come se non bastasse, l'armadietto gli si bloccò di nuovo. Dovette prenderlo a pugni pur di farlo aprire, ma ci perse comunque dieci minuti buoni. E la professoressa Peterson non lo perdonò.
O per meglio dire, decise di fare la stronza.
«È in ritardo, Carter. Passi l'ora fuori, magari le farà ricordare a che ora iniziano le lezioni.»
Sospirò, girando le spalle e lasciando che le pareti gialle dell'aula fossero sostituite da quelle azzurre del corridoio.
Si trascinò fino al piano superiore, inserendo alcune monete nella macchinetta delle bevande, togliendo un quadratino di zucchero, per poi premere sulla scritta recitante "Caffè corto".
Aspettò che quella cosa emettesse il classico beep, prima di togliere il bicchiere, sedendosi sulla sedia girevole affiancata alla cattedra del personale igienico, al momento vuota, estraendo le cuffie dalla tasca più piccola dello zaino.
Le collegò al telefono, fece partire una canzone a caso - i Three Days Grace cantavano I Am Machine, per cui Charlie si lasciò andare ad un mezzo sorriso - e chiuse gli occhi.
A quella canzone seguì Prom Queen, di Lil Wayne, poi Castle Of Glass dei Linkin Park. Per la seconda volta nel giro di neanche due ore, si sentì scuotere la spalla.
Si trattenne dallo sbuffare, mentre apriva gli occhi.
Il Signor Gino lo osservava, sorridente.
Come si poteva essere felici già di mattina? Dove trovavano la forza, le persone?
«Fammi indovinare, la Peterson...» Disse il bidello, accomodandosi nella sedia libera accanto alla sua.
«Chi, sennò?»
Il Signor Gino iniziò a scuotere la testa.
«Dovrebbero mandarle in pensione, quelle come lei!»
«Dovrebbero non assumerle e basta, che è diverso.» Borbottò Charlie, iniziando a sorseggiare il caffè, ormai raffreddatosi.
Il Signor Gino iniziò a raccontargli - per l'ennesima volta - alcuni aneddoti sulle sue bravate da ragazzino, scegliendo quella in cui, durante una calda estate siciliana, venne rincorso da una vecchietta perché aveva osato disturbare il suo sonno pomeridiano con il rumore delle rotelle della bicicletta.
«Non le manca, il suo paese?»
Il Signor Gino inspirò profondamente.
«Mi manca, sì. Ma lì non c'era futuro per noi. Dovevamo andarcene. E poi ti abitui.»
Charlie rimase in silenzio, osservandolo perdersi nei propri ricordi. Lo lasciò parlare, fin quando qualcuno non gli coprì gli occhi con le mani.
Sussultò, ma seppe subito di chi si trattava.
«Togli le mani dal mio viso o te le mordo.»
Shane iniziò a ridere, parandoglisi davanti.
«Come se fossi in grado di farlo davvero.» Lo schernì il ragazzo, continuando a sorridere.
«Vuoi provare?» Lo sfidò il più grande, lanciandogli un'occhiata torva.
Shane ignorò quanto gli fosse stato detto, appoggiandosi alla scrivania.
«La Peterson?» Chiese, nonostante sapesse già.
Charlie fece una smorfia.
«Ovviamente.» Si rispose infatti da solo.
Il ragazzino dai capelli biondi gli chiese di andare a fare una passeggiata, comunicandogli il vero intento con lo sguardo, che Charlie percepì al volo.
Uscirono nel cortile, nascondendosi nella parte più riparata. Solo allora Shane si accese una sigaretta.
«Ti sei più sentito con Kylie?»
Charlie alzò le spalle.
«Non le ho più risposto.»
Shane emise un verso, roteando gli occhi, e la reazione del maggiore fu immediata.
«Senti, non è colpa mia. Sapeva si trattasse di una botta e via, e le andava bene. Non ho tempo per una cosa seria.» Si discolpò, le guance accalorate.
«Perché sei un idiota, ecco perché. Io pagherei per avere una ragazza.»
Charlie gonfiò le guance.
«Come se non ti divertissi abbastanza...»
Shane fece un sorrisetto tutto denti.
«Quello sì, però... Non c'è nessuno che m'interessa davvero.» Soffiò via il fumo, allungandola nella sua direzione.
«Vuoi?»
Charlie fissò la sigaretta, iniziando a mordersi l'interno guancia.
Non avrebbe dovuto.
«Solo un tiro.» Disse infine, non riuscendo a resistere alla tentazione. Afferrò il filtro, stringendolo tra pollice e medio.
«Sì, certo.»
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Smoking Illusion
Teen Fiction[...] La prima volta che lo vide, pensò che si trattasse di un'allucinazione dovuta al livello anormale di THC in circolazione. La seconda, vi fece un patto. La terza, le diede un pugno. La quarta volta, ebbe modo di constatare quanto fosse passion...