Capitolo Quattro - Di provocazioni e di graffi

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«Quindi, cosa esattamente è pericoloso?» Chiese, togliendosi il casco.
Tra i ragazzi si respirava agitazione, adrenalina, ma Charlie continuava a non capire.
«Stiamo andando in una parte della città in cui non possiamo, in teoria.» Disse Noah, ghignando. Sembrava quasi divertito.
Charlie aggrottò la fronte, ricordando le parole di qualche sera prima. Che c'entrasse qualcosa?
«Perché non potete?»
Lo vide allacciare al collo una specie di maschera/bandana, che riportava disegnata la struttura ossea della parte inferiore del viso di un teschio, in bianco e nero.
«Accordi.» Disse vagamente, prima di accendersi l'ennesima sigaretta - era una ciminiera, per caso?
«Tirati su il cappuccio e aspettami qui.» Gli ordinò, allontanandosi.
Che genere di accordi erano? Charlie voleva saperne di più, e sapeva sarebbe riuscito ad ottenere le informazioni desiderate. La notte era ancora lunga, dopotutto.
Sentì qualcuno urlare un "Andiamo!", poi Noah aprì il vano portaoggetti della propria moto, tirandone fuori una felpa nera. La indossò, lasciando che il cappuccio gli nascondesse parte del viso, poi tirò su la maschera. Charlie s'imbambolò a fissarlo, notando come il verde dei suoi occhi spiccasse ancora di più grazie al contrasto dei colori.
Scosse il capo, salendo dietro il più grande, che accese il motore, provocando una serie di urla.
Non vide la sua espressione, né poteva dire di conoscerlo, ma era più che sicuro che nascosto sotto la bandana, si celasse un sorriso.
Colui che scoprì si chiamasse Dylan si affiancò a Noah.
I due si guardarono, annuirono, poi ripartirono.
Il tragitto dovette durare almeno un quarto d'ora buono. Il rombare della moto era assordante, ma ad un certo punto, non ci fece più neanche caso.
«Ascolta,» Si raccomandò Noah, «Se ti dico di correre, fallo e basta. Non guardarti indietro, non fermarti, corri.»
Annuì, preoccupato.
«Che ci facciamo qui?» Chiese, non riuscendo a frenare la propria curiosità.
Noah sospirò.
«Ricordi della moto di Dylan?»
Charlie annuì, lasciandolo parlare.
«Il proprietario della macchina è stato pagato per farlo da qualcuno con cui diciamo che non siamo in buoni rapporti.»
«Rivali?»
«Mh. Hanno infranto gli accordi, adesso li infrangiamo noi.»
A Charlie sembrò di essere in un cazzo di film.
Si stavano addentrando in territorio nemico, a fare chissà cosa e, merda.
Noah sembrò leggergli nella mente.
«Sicuro di volerlo ancora fare, micetto?» Chiese dunque, schernendolo.
Il suo carattere fece un tuffo nell'orgoglio. Micetto a chi?
Eppure, gli sembrò di rivivere un déjà-vu.
«Ti ho detto-»
«Che non ti tiri indietro. Però sappilo, non voglio alcuna responsabilità.»
E forse fu perché la distanza tra di loro venne maledettamente ridotta, ma Charlie si sentì a disagio.
Quel ragazzo lo metteva in soggezione, forse anche fin troppo per i suoi standard.
Sembrava una calamita: attirava tutto ciò che gli stava intorno; ma Charlie non l'avrebbe permesso, avrebbe schierato lo stesso polo magnetico.
Combatté il bisogno di allontanarsi, alzando la testa.
«So badare a me stesso.»
Noah sembrò essere compiaciuto.
«Bene.»
E forse di quel pugno non si pentì così tanto, quella notte.

Dopo essersi accertati di aver trovato l'auto giusta, Noah estrasse il mazzo di chiavi dalla tasca dei jeans, guardando gli altri, prima di iniziare a sorridere in maniera sinistra.
Si avvicinò alla macchina, facendo sporgere una delle tante chiavi.
Il rumore del metallo che strideva contro la lamiera fece venire i brividi al più piccolo, che iniziò a guardare l'espressione di ciascuno della decina di ragazzi presente. Si sorprese, quando realizzò che in ciascuna di esse non vi era una singola traccia di rimorso.
Era come se stessero facendo la cosa giusta, come se si fidassero ciecamente di Noah.
Dopo aver compiuto un giro intorno alla macchina, Noah si fermò, trovando un sasso a terra, che passò a Dylan.
Il ragazzo lo prese in mano, facendolo saltellare in aria diverse volte, poi lo tirò con forza contro il parabrezza, che andò in frantumi, lanciando a terra mille schegge.
Solo allora i ragazzi si lasciarono andare a grida euforiche, quasi animalesche.
Noah salì sul cofano dell'auto con un agile balzo.
«Ti è piaciuto lo spettacolo, Ross?» Disse ad un certo punto, ad alta voce, incurante dell'ora.
Charlie aggrottò la fronte, seguendo lo sguardo del più grande, fissato all'angolo opposto della strada, in una parte malamente illuminata.
Il silenzio regnò sovrano per secondi che sembrarono interminabili.
Poi un tizio dai capelli lunghi fino alla base del collo uscì allo scoperto, applaudendo.
Le cose erano due: o Noah era un animale, o qualcuno gli aveva detto che quel Ross si sarebbe trovato lì. Perché era impossibile che l'aveva visto con i propri occhi, considerando che erano circa le due di notte e che le luci in quel posto facevano cagare.
«Assistere allo zoo senza pagare, questa sì che è bella.» Disse l'uomo, avviandosi tranquillamente nella loro direzione.
Charlie si accorse solo dopo che non era solo.
«Sta' attento, però. Non ci sono gabbie, in questo posto.» Disse Noah, sorridendo strafottente.
Saltò giù dall'auto, parandosi davanti agli altri, che all'erta, si disposero dietro di lui, pronti ad attaccare in caso ce ne fosse stato bisogno.
La situazione stava diventando surreale.
«Stai infrangendo gli accordi, Noah.» Disse quello, calciando una piccola pietra, le mani in tasca.
«Il bue che dice cornuto all'asino. I tuoi ragazzi entrano e spacciano nella mia zona. Ho occhi ovunque, dovresti saperlo. Cerca di tenerli a bada.»
Ross buttò un'occhiata ai propri ragazzi - che poi, cos'erano, proprietà?, non smettendo di sorridere.
«Beh, non è colpa mia se vendiamo roba di qualità migliore della tua.»
Noah iniziò a ridere.
«Te lo ripeto un'ultima volta. Tieni a bada i tuoi cagnolini, la prossima volta non ci andremo leggeri.»
Disse, alzando le sopracciglia.
Forse fu il fatto che diede loro dei "cani", ma nel giro di mezzo secondo si scatenò l'inferno.
Charlie riuscì a scansare un calcio, abbastanza alto da potergli rompere qualche costola, ma non fu in grado di evitare un pugno.
E non era giusto, considerando il gigante che si ritrovava davanti. Doveva pesare come minimo il doppio di Charlie.
Sapeva che se si fosse lasciato buttare a terra, non avrebbe avuto modo di liberarsi, ma quella cosa approfittò dello stordimento del più piccolo, incastrandolo sotto al suo peso.
Charlie cercò di proteggere il viso con le braccia, poi alzò il ginocchio, colpendo l'altro alle palle. Quest'ultimo allentò la presa, e Charlie ne approfittò per liberarsi, strisciando via, ma venne afferrato dai capelli.
Sgranò gli occhi, che s'inumidirono per via del dolore lancinante. Venne tirato indietro dalla gamba, e Charlie andò seriamente nel panico.
Pensò di essere spacciato, mentre una raffica di colpi ben assestati lasciava scie di dolore in diverse parti del corpo.
Poi il chiasso terminò, così come le batoste. Solo allora scostò le braccia, aprendo gli occhi.
Rimase senza fiato.
Noah era accanto al suo aggressore, lo sguardo gelido, mentre puntava una pistola alla testa di quest'ultimo.
«Sparisci.» Disse, continuando a puntargli l'arma contro fin quando non si fu allontanato abbastanza da non poter fare del male a nessuno dei due.
Ross si fece avanti, alzando le mani in segno di resa.
«Finiamola qui per questa sera, Noah.»
«Lasciateci passare.» Commentò.
Ross strinse la mascella, girandosi verso i suoi.
«Andiamocene!» Urlò, poi andarono via.
Solo allora Noah posò la pistola, allungando una mano verso Charlie, ancora a terra.
Il ragazzo l'afferrò senza pensarci due volte, tirandosi su.
Noah lo squadrò per diversi secondi, poi gli diede le spalle.
«Andiamo!»

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