Capitolo Sette - Non è da me

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«Devo ritornare a casa.» Sussurrò, incapace di aprire gli occhi, le palpebre troppo pesanti.
«Mh?» Sentì dire da poco lontano.
Il materasso si abbassò, segno che Noah si era sdraiato.
«Se Sammy non mi trova accanto, si spaventa.» Disse, nascondendo il braccio sotto al cuscino.
«Domani ritorni, per ora dormi.»
Aprì gli occhi, ritrovandosi quelli del più grande puntati su di sé.
Stava sorridendo.
«Non posso.» Riuscì a pronunciare, poi si lasciò cullare dalle braccia di Morfeo.

«Non vieni neanche a trovarmi?»
Stava piangendo. Dio, se stava piangendo. Le lacrime si trasformarono in torrenti, in poco tempo la stanza si allagò.
Stava urlando, così forte da essere insopportabile. Charlie dovette chiudere gli occhi, poi portò un dito all'orecchio. C'era del sangue.
Puntò lo sguardo sull'unica persona di fronte a sé, vestita in bianco. Cercò di non fare caso al suo collo, preferendo concentrarsi sul suo viso.
Sentì gli occhi inumidirsi.
«Non ci riesco, mi dispiace.» Sussurrò, la voce scossa da un singhiozzo.
Provò ad avvicinarsi, ma i suoi piedi erano bloccati.
Poi il livello dell'acqua finì di innalzarsi, le sopracciglia si corrucciarono in una triste espressione.
«Pensavo mi volessi bene.» Si sentì dire, poi una corda si strinse attorno al suo collo.

Si tirò a sedere, cercando di prendere quante più boccate d'aria possibile.
Si asciugò velocemente il viso, guardandosi poi intorno.
Il suo cuore iniziò a galoppare, quando si rese conto di non essere in camera sua.
Tastò i pantaloni, vicino al letto, trovandoci il telefono.
Le 5.35.
Ravvivò i capelli, guardando il ragazzo addormentato accanto a sé.
Il viso semi nascosto nel cuscino, Charlie si chiese come faceva a non sentire freddo con solo un paio di boxer addosso.
Sospirò, alzandosi e vestendosi.
Poi prese il giubbotto, lasciato sulla poltrona accanto all'armadio, cercando nelle tasche le chiavi, poi lasciò l'appartamento, le immagini del sogno avuto ancora vivide, incise dietro le palpebre.

Il telefono prese a squillare, per cui allontanò la schiena dal divano, mentre una smorfia gli si disegnò sul volto.
Dannato Noah, pensò, rispondendo senza guardare il mittente della chiamata.
«Charlie?» Si sentì chiedere, e il cuore iniziò a pompare più veloce del dovuto.
«Sì.» Disse.
Dall'altro lato provenne solo silenzio, interrotto da rumori indistinti.
«Possiamo incontrarci?»
Charlie ci pensò su, leccandosi le labbra. Non sapeva se avesse voglia di parlargli.
Però, se proprio dovevano interrompere l'amicizia, che almeno la rompessero nel verso giusto.
«Dove?» Chiese a Shane.
«Ti va bene allo Snake?»
Charlie sospirò.
«Okay.»
Raggiungere lo Snake, nonché il parco in cui i ragazzi s'incontravano per fare skate, non fu difficile, nonostante fosse abbastanza lontano da dove abitava.
Shane lo aspettava già all'entrata, a Charlie non passò inosservato il modo in cui si torturava le mani.
A quanto pare non era l'unico nervoso.
«Hey.»
«Ciao.»
Charlie nascose le mani nelle tasche degli skinny neri, Shane iniziò a guardare all'interno del parco, facendo poi un cenno col capo al più grande, invitandolo ad entrare.
Il moro lo seguì senza aggiungere parola, fino ad accomodarsi su una panchina un po' in disparte, che permetteva di parlare senza essere ascoltati da orecchie indiscrete.
«Mi dispiace.» Pronunciò Shane, continuando a guardare davanti a sé.
Charlie alzò le sopracciglia.
«Per cosa, esattamente? Avermi portato alla festa solo per vedere la mia reazione, o... Cosa, Shane?»
Il biondino decise finalmente di guardarlo.
«Per tutto. Avrei dovuto chiedertelo e basta, ma ero sicuro non mi avresti risposto. E comunque hai frainteso, non ti ho risposto per la tua situazione, o qualunque cosa del genere. È solo che non sapevo cosa dirti in quel momento, e mi dispiace.»
Charlie strinse i pugni.
«Quindi... Non ti importa?» Sussurrò.
«No. Dovrebbe?» Chiese Shane, sorridendogli.
«No.» Disse allora Charlie, scuotendo la testa.
Nessuno dei due aggiunse parola, lasciandosi cullare dal rumore del vento.
«Quindi, Noah?»
Charlie umettò il labbro inferiore, piegando la testa di lato.
«È stato solo sesso.»
«Non provi niente per lui? Attrae molte persone.»
Charlie aggrottò le sopracciglia.
«No, sono solo affari. Nulla di più. E non sono gay.»
Shane emise un verso di lamento.
«Non è che per piacerti un ragazzo, debba essere per forza gay. I gusti vanno in base alle persone, a volte.»
Charlie prese a guardarlo intensamente.
«Non lo sono.»
Shane alzò le braccia.
«Okay, okay.»
Poi entrambi scoppiarono a ridere.

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