Capitolo Quattordici - Condividere

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Non ce la faceva più.
Aveva quel magone sulla bocca dello stomaco che portava dietro da giorni che lo stava facendo diventare matto.
Si alzò dal divano, andando ad aprire la porta di casa, quando il campanello suonò.
Angelo gli si presentò davanti, sorridente.
«Potrei entrare un paio di minuti? Ho una cosa importante di cui parlarti.»
Charlie annuì automaticamente, nonostante l'ansia provocata da quella frase non andò di certo a migliorare il suo umore, già instabile.
Si sedettero al tavolo, l'uno di fronte all'altro, dopo che il più piccolo ebbe preparato la caffettiera.
«È successo qualcosa di grave? Sammy ha fatto qualcosa?» Furono le sue prime domande, aprendo così il discorso.
Non sapeva davvero cosa pensare, specialmente in quanto la tensione del padre di Sammy non sfuggì alla propria attenzione.
«No, assolutamente. Anzi, è una bambina davvero in gamba.»
Non gli sfuggì nemmeno il modo in cui le sue spalle si rilassarono, mentre guardava Sammy giocare sul divano, gli occhi e la bocca sorridenti.
E fu quasi confortante.
L'amava davvero.
Se ne rese conto solo in quel momento, Charlie. E nonostante la cosa avrebbe dovuto soltanto rincuorarlo, non fu così. Non del tutto, perlomeno.
«Dopodomani Anne ed io andiamo in vacanza. Andiamo a trovare i suoi genitori, non abitano molto lontano da qui.»
Charlie capì immediatamente dove quella conversazione li avrebbe portati, ma si limitò a stringere i pugni, sotto la superficie del tavolo, in modo da non darlo a vedere all'altro.
«Saranno all'incirca tre ore di macchina da qui. Quindi, mi chiedevo... Cosa ne pensi se Sammy venisse con me? Ci terrei davvero tanto, anche Anne ne sarebbe entusiasta.»
Charlie scattò in piedi, dirigendosi verso la caffettiera, che adesso gorgogliava, inondando la cucina del profumo del suo contenuto.
«E il ritorno? Non può perdere troppi giorni di scuola.» Disse, ancora girato di spalle, versando il caffè in due tazze.
«Lunedì pomeriggio, non più tardi.»
Charlie deglutì.
«Lei lo sa?» Chiese Charlie, cercando di sembrare distaccato.
Distaccato, il cazzo.
«No, preferivo parlarne con te, prima.»
Annuì, schiarendosi la voce. Non aveva nessuna voce in capitolo. Non poteva vietarglielo. Per cui, chiamò Sammy.
«Angelo ed Anne partono in vacanza. Vorresti andarci?»
Gli occhi della bimba s'illuminarono, poi la vide unire le mani in segno di supplica.
«Siii! Ti prego, ti prego, fammi andare!» Lo implorò.
Charlie strinse la mascella.
«Ne sei sicura?»
«Sì, dai!»
Prese fiato.
Poi annuì.

Sospirò, cambiando per l'ennesima volta il canale della tv.
C'era così tanto silenzio, nonostante i suoni provenienti dall'affare posto di fronte a lui; aumentare il volume era stato inutile. Per questo, non appena il telefono aveva iniziato a squillare, non ci pensò su più di tanto, rispondendo immediatamente.
«Pronto?»
Non aveva neppure controllato chi fosse, a chiamarlo.
Sperava con tutto il cuore che fosse Sammy.
«Hey.»
Non era lei.
S'irrigidì, trattenendo il fiato per qualche secondo.
«Hey.» Disse, a sua volta.
«Che fai stasera?» Chiese Noah, la voce pacata.
Sospirò.
«Niente di che, in realtà.» Ammise.
«Potresti venire a casa mia, allora.»
E, di nuovo, non ci pensò più di tanto: si vestì ed uscì, lasciandosi alle spalle una casa completamente immersa nel buio.
Non ci mise molto ad arrivare a destinazione, ad essere sinceri. Avrebbe potuto dire di aver camminato lentamente, godendosi la passeggiata, ma la verità era che i suoi piedi si erano mossi più velocemente di quanto avrebbe voluto.
Perché, dopotutto, c'era quel sentimento contrastante in lui, che gli permeava la pelle, i muscoli, il cuore, che lo spingeva a voler schiaffeggiare Noah, quando al tempo stesso bramava di vederlo, di toccarlo, di averlo vicino.
Lo trovò con addosso un paio di pantaloni, appartenenti a qualche tuta, e come cazzo faceva a non avere freddo?
«Ti sei rifatto vivo, eh.» Gli disse, il solito ghigno a dipingergli le labbra, e per un attimo neanche lui ebbe più freddo.
«Scusami,» Gli baciò una guancia, «È che ho avuto da fare.»
Si allontanò, aprendo il giubbotto, prima di lasciarlo cadere sul divano.
Controllò anche se avesse ricevuto qualche chiamata, prima di posare il cellulare sul tavolino.
Non ce n'erano.
Quando alzò lo sguardo, il suo cuore ebbe un sussulto.
Merda.
Noah era appoggiato al muro, le braccia conserte, e aveva quello sguardo, che diamine, ti scannerizzava da cima a fondo.
«Che c'è?» Chiese, dunque, chiaramente in suggestione.
«No, Charlie. Che hai tu.»
«Cosa stai vedendo?» Ribadì, aprendo le braccia.
Era patetico nel mentire.
Noah alzò le sopracciglia, prima di sospirare un sorriso.
Gli si sedette accanto, allungando le gambe finché i suoi piedi non toccarono il tavolino.
«Facciamo una cosa: quando ne vorrai parlare, io sono qui.»
Charlie sospirò, vedendolo iniziare a fare zapping con nonchalance.
Non riusciva affatto a nascondergli qualcosa, per cui optò per parlargliene. O perlomeno, gli avrebbe parlato di Sammy. Non di Ross. Perché sapeva già si sarebbe infastidito al solo sentire pronunciare il suo nome.
Dopotutto, la sua preoccupazione più grande al momento era sua sorella, non quel cazzone.
«Sammy è con Angelo.» Mormorò, quindi.
Noah annuì, lasciandogli del tempo per aggiungere altro.
«Voglio dire, in vacanza. Sono andati a visitare la famiglia di sua moglie.» Concluse.
Noah rimase in silenzio, per un po'.
«E cosa ti preoccupa, esattamente?»
Si mosse a disagio, maledicendolo. Il modo in cui centrava appieno il nocciolo della questione con tanta facilità, era preoccupante.
«Non capisco che intenzioni abbia. Tutto ad un tratto decide di ritornare e fare come se non fosse accaduto nulla. Non mi piace- non mi piace il modo in cui sta legando con Sammy.» Ammise.
«Ti preoccupi del fatto che te la porti via, quindi?» Chiese Noah, ma il più piccolo non rispose.
Il ragazzo tatuato deglutì, prima di parlare di nuovo.
«Non pensi sarebbe meglio? Insomma, si toglierebbe dallo schifo in cui sta adesso.»
Charlie drizzò la schiena, quasi lo schienale stesse andando a fuoco.
«Sammy rimane con me.» Disse, alzando leggermente la voce, lo sguardo deciso.
Noah alzò le mani.
«Okay, okay, non ti scaldare così tanto. Stavo solo facendo un'ipotesi.»
«Fa schifo, come ipotesi.»
Noah annuì, prima di scompigliargli i capelli.
«Dovresti farti meno paranoie, comunque. Da quand'è che sono via?»
«Da ieri mattina.»
«E perché non me l'hai detto prima?»
Eh okay, magari quella domanda venne posta nel momento sbagliato, dato il malumore del più piccolo. Per questo rispose con un:
«Perché avrei dovuto? Anche tu mi nascondi delle cose.»
Le parole gli sfuggirono al controllo, incapace di domarle, pentendosi subito dopo di averle pronunciate.
Sgranò gli occhi, sentendo le guance andare a fuoco quando notò il modo in cui Noah arcuò le sopracciglia.
«Cosa?» Si sentì chiedere.
«Nulla.» Rispose, sbrigativo, desiderando che la conversazione terminasse lì. Ma conosceva il più grande.
Fece per alzarsi, la scusa di prendere un bicchiere d'acqua per giustificare il modo in cui, ancora una volta, stava scappando via.
Tuttavia, Noah lo trattenne per la mano, tirandolo verso di sé, con abbastanza forza da farlo ricadere sul divano.
«Noah.» Lo richiamò il più piccolo, la voce già tremante.
Non perché avesse paura, bensì perché non era sicuro di voler affrontare la questione in quel determinato momento.
«Parli di qualcosa in particolare, Charlie, o stai semplicemente sparando cazzate?»
Il più piccolo aggrottò la fronte.
«Dipende. Per te, mentire sul fatto che tu e Ross stavate insieme, è una cazzata o no?»
Il silenzio li circondò per diversi attimi, prima di essere interrotto dal più grande.
«È stato tanto tempo fa, non sono affari tuoi.»
Charlie provò a liberare il polso dalla presa dell'altro, ma tutto ciò che ottenne fu quello di ritrovarsi Noah ancora più vicino, inesorabilmente sovrastato dalla sua altezza.
«Lo trovi giusto? È una cosa normale, secondo te?» Chiese, agitato.
«Cosa?»
«Che tu sia l'unico a sapere tutto dell'altro! Io non sto dicendo di voler conoscere tutto di te, ma almeno una piccola parte, cazzo. Non credo sia così che funzioni in una dannata relazione!»
E forse si ritrovò a gridare, forse si ritrovò a cercare un modo per dare sollievo agli occhi, che avevano già iniziato a bruciare, ma questo non era importante.
Noah lasciò andare il suo polso, dopo qualche secondo, poi distolse lo sguardo, scompigliando i propri capelli.
Sospirò, le labbra serrate, prima di riportare lo sguardo sul più piccolo.
«Da dove vuoi che inizi?» Chiese, anomalamente calmo.
«D-da dove preferisci...» Disse il più piccolo, l'intero corpo teso.
Noah annuì, prima di umettarsi le labbra.
«Prima di andare a vivere da solo, abitavo con mio zio. Mio padre è morto quando avevo nove anni... E mia madre è stata arrestata per averlo ucciso.»

TO BE CONTINUED...

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