Capitolo Dieci - Di conflitti e sentimenti

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Si alzò dal divano, precipitandosi in bagno, senza preoccuparsi se ci fosse qualcuno o meno.
Si inginocchiò davanti al wc, vomitando pure l'anima, gli occhi che bruciavano e il corpo tremante. Tirò su col naso, spostando la testa di lato quando si accorse di qualcuno.
«Ti senti male?» Chiese Sammy, chiaramente preoccupata.
«No, no. Sarà stato qualcosa che ho mangiato.» Mentì.
Si asciugò gli occhi, tirando lo sciacquone e appoggiandosi al lavandino, pronto a lavarsi i denti.
«Tranquilla, ritorna a giocare.» Le disse, rivolgendole un sorriso, poi mise del dentifricio sullo spazzolino.
Si diresse in camera, sdraiandosi sul letto, preferendo mettersi di lato.
Non riuscì a pensare a nulla, limitandosi a guardare con sguardo assente la propria camera. Poi qualcosa attirò la sua attenzione.
Nascosta sotto la scrivania, c'era lo zaino in cui teneva l'erba.
Lo fissò per minuti che sembrarono ore, poi sbatté un paio di volte le palpebre, girandosi dall'altro lato.
Con quale coraggio avrebbe dovuto portargli i soldi, d'ora in poi?
Avrebbe perso il suo "lavoro"?

Vide lo sguardo di Noah essere percorso da diverse sensazioni. I suoi occhi si sgranarono per la sorpresa, poi si assottigliarono, divenendo freddi.
Così come il cuore di Charlie.
Lo vide sfregarsi una guancia, poi abbassare lo sguardo per un mero secondo.
«Non dovresti.» Fu tutto ciò che gli disse.
E Charlie aspettò, aspettò che l'altro aggiungesse qualcosa, ma notò la sua mascella contratta, per cui si limitò a prendere lo zaino ed andarsene.

Sospirò, prendendo le cuffiette dal comodino, prima di collegarle al telefono e infilarle nelle orecchie.
Poi si addormentò.

«Charlie, tutto bene?»
Allontanò la sigaretta dalle labbra, annuendo.
«Sicuro?»
Sospirò, portando finalmente lo sguardo su Shane. Poi iniziò a mangiucchiarsi l'interno del labbro inferiore.
Shane aggrottò la fronte, sedendoglisi accanto subito dopo.
«Stasera non ci sono.» Disse, ad un certo punto, le braccia appoggiate sulle ginocchia, riferendosi chiaramente a Noah e la sua cricca.
Charlie emise un verso di disperazione.
«Ti prego, non parlarmi di loro.»
Forse sarebbe stato più giusto dire "Di lui", ma dettagli.
«Cos'è successo?» Chiese quindi il più piccolo.
Charlie iniziò a scuotere la testa.
«Sa tutto.» Mormorò.
Shane non aggiunse nulla. Probabilmente aveva capito da solo.
Meglio, Charlie non aveva nessuna voglia di parlarne.
Sentì il braccio del biondo premere con forza e ripetutamente contro il suo fianco, per cui alzò gli occhi su di lui, intento a guardare qualcosa.
Seguì il suo sguardo, fino a vedere Kylie, diversi metri più in là, intenta a fissarlo mentre parlava con un'altra ragazza.
Si grattò il collo, prendendo un profondo respiro.
Si alzò, dirigendosi verso la mora. La sconosciuta se ne fu andata ancora prima che Charlie arrivasse da loro, per cui si ritrovò da solo con Kylie.
«Hey.»
«Ciao.» La salutò, accennando un sorriso che di concreto non aveva nulla.
«Ti va di andare a casa tua?» Le propose, l'imbarazzo completamente assente.
Kylie corrucciò la fronte, confusa tanto quanto lui.
«Okay.» Disse, tuttavia.
E Charlie la seguì, mentre si allontanavano dalla piazzetta, l'animo tormentato dai sensi di colpa.

Spense la piastra dei panini, mettendo quello di Sammy in un piatto, prima di passarlo alla bambina.
«Attenta che scotta.» Le disse, prima di estrarre la bottiglia d'acqua dal frigo e posizionarla sul tavolo.
Il telefono iniziò a squillare, per cui rispose, senza neanche controllare chi fosse.
Era sicuro si trattasse di Shane, pronto a fargli una lavata di testa riguardo la serata precedente.
«Pronto?»
«Ciao. Charlie, giusto?» Chiese una voce sconosciuta, che lo portò ad aggrottare la fronte.
«Sì. Chi è?»
«Sono Angelo.»
Gli servirono un paio di secondi per collegare il nome ad un volto, ma quando lo fece, gli si bloccò il fiato in gola.
Il papà di Sammy.
«Cosa vuoi?» Chiese, neanche tanto gentilmente.
«Possiamo incontrarci al bar in piazza? Ho bisogno di parlarti.»
Guardò la bambina, seduta di fronte a lui.
Aveva un brutto, bruttissimo presentimento.
«Quando?» Chiese.
«Nel pomeriggio puoi?»
«D'accordo. Alle quattro.» Concluse, chiudendo la chiamata.
Fissò il proprio panino, la fame ormai sparita. Poi riportò lo sguardo su Sammy, mantenendolo su di lei.

Le quattro arrivarono prima del previsto, e Charlie non si sentiva pronto a rivedere l'uomo un'altra volta.
Cristo, quanti anni erano passati, tre?
Sperava solo sarebbe riuscito a trattenersi dal piantargli uno schiaffo in pieno viso.
Con mille ipotesi riguardo il suo farsi risentire, spinse la porta del bar, venendo accolto dallo scampanellio di un elegante sonaglio al vento.
Si fermò giusto un attimo, analizzando i presenti.
Poi lo vide.
Capelli biondi, occhi azzurri, alto e abbronzato: era lui.
Si recò verso il tavolo occupato dall'uomo, sedendoglisi davanti senza troppi preamboli.
«Ciao.» Lo salutò.
Angelo sembrò sorpreso di vederlo.
Che fosse per il suo aspetto? Effettivamente era cambiato molto, in quei tre anni.
O forse non si aspettava di vederlo?
«Come stai?»
Charlie alzò la fronte, facendo una smorfia. Iniziò ad avvertire l'ironia scorrere prepotente nel suo sangue.
«Devo badare ad una bambina di sette anni e ad una donna che si buca. Per il resto, tutto okay.» Disse, trovando uno strano piacere nel vedere l'espressione dell'altro essere modificata dai sensi di colpa.
Angelo si limitò ad annuire.
«Tu? Figli, fidanzata?» Chiese.
«Mi sono sposato due anni fa.» Mormorò.
Charlie simulò ammirazione.
«Complimenti.»
Angelo sospirò.
«Senti, Charlie. Sono qui per parlare di Sammy.»
Charlie allargò le braccia.
«Dimmi tutto.»
Angelo si umettò il labbro inferiore.
«Ho fatto un casino. Voglio poter rimediare.»
Charlie rise.
«E ci pensi dopo tre anni?»
«Dimmi una cosa, Charlie. Se tu potessi ristringere i rapporti con tuo padre, non lo faresti?»
Charlie puntò un dito nella sua direzione.
«Non tirare in ballo mio padre. Se fosse ancora vivo, non mi ritroverei in questa situazione di merda.» Rispose, incazzato.
«Charlie, ti chiedo solo un'altra possibilità. Non sono più il cafone cagasotto di un tempo, sono pronto a prendermi le mie responsabilità.»
«Probabilmente non ricorda più neanche chi sei. Aveva quattro cazzo di anni, quando te ne sei andato.»
«Fallo per Sammy, non per me. Ti scongiuro.»
Charlie guardò il tavolo, leccandosi il labbro inferiore.
«Domani sera, a casa mia.» Si decise.
«Tua madre...»
«Non ritorna a casa da una settimana. Non verrà neanche domani.» Disse, poi si alzò.
«Ah. Cucini tu, io non ho voglia.» Detto ciò, se ne andò.

Vederlo accanto a Sammy, che sorridente lo osservava tagliare i pomodori, gli provocò un dolore al petto non indifferente.
A sorpresa di entrambi, la bambina l'aveva riconosciuto immediatamente, chiamandolo "Papà", prima di fiondarsi tra le sue braccia. Come aveva fatto, tuttavia, rimaneva un mistero, visto che era molto piccola, quando l'aveva abbandonata.
Già, abbandonata.
Eppure aveva accettato. Perché? Semplice.
Sapeva cosa significasse crescere senza un padre. Se Angelo provava interesse per sua figlia, chi era lui per mettergli i bastoni tra le ruote?
Certo, questo non significava che l'aveva perdonato. Assolutamente.
Però il viso di Sammy si era illuminato, non appena l'aveva visto, quindi era disposto a mettere da parte i propri sentimenti.
Aveva detto alla bambina che il papà era andato a lavorare lontano, e che era per questo motivo se non poteva andare a trovarla. L'aveva fatta vivere nella menzogna, ma non aveva avuto altra scelta. Rovinarle l'infanzia non li avrebbe portati da nessuna parte.
In quel momento, però, seduto in disparte in un angolo della cucina, si sentiva di troppo.
Era tutto di troppo.
L'odore del pomodoro cotto in padella, era di troppo.
Il rumore delle risate dei due era di troppo.
La gelosia che se lo stava mangiando vivo, era di troppo.
Si riscosse dai propri pensieri, quasi fosse stato in una bolla, isolato dal resto del mondo, alzandosi.
Doveva assolutamente uscire da lì.
«Io esco, per qualunque cosa sai come chiamarmi.» Disse a Sammy, lasciandole un bacio sulla guancia e aspettando che fosse la bambina a ricambiare il bacio.
«Puoi rimanere, stanotte?» Chiese, rivolto ad Angelo.
«Solo se per te va bene.»
Charlie annuì.
«Prendi pure il mio letto. Ritorno domattina.»
Salì al piano superiore, infilò i soldi nel portafoglio e uscì di casa.
Faceva freschetto, quella sera, e lui era uscito con una cazzo di giacca.
Maledizione.
Si lasciò guidare dai propri piedi, rimanendo a fissare il legno massiccio della porta chiusa davanti a sé, prima di riuscire a racimolare quel poco coraggio rimastogli e bussare.
Mal che vada, si disse, ho la scusa dei soldi.
Trattenne il respiro, il cuore impazzito, quando sentì la serratura scattare.
La figura di Noah gli si scagliò davanti, snella e prepotente al tempo stesso.
Dio, se lo metteva in soggezione.
Noah rimase a fissarlo in silenzio, lo sguardo indecifrabile.
Avrebbe dovuto salutarlo, perlomeno, ma la sua voce aveva deciso di fare una vacanza in Patagonia.
Per cui si limitò a guardare con la coda dell'occhio il volto del più grande, sorpreso quando Noah parlò.
E probabilmente Charlie non si sentì più le gambe.
«Entra.»

TO BE CONTINUED...

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